GLI INTRAMONTABILI: AMATISSIMA, di Toni Morrison
Recensione 1
Questo è il secondo libro, assieme a L’uomo verticale di Davide Longo, che ha impegnato le mie giornate (ed anche qualche notte insonne) in letture non proprio facili e rilassanti; e così dopo un distopico, per certi versi anche troppo realistico e credibile, mi sono trovata a fare i conti con questo intenso libro scritto da Toni Morrison, premio Nobel per la letteratura nel 1993, libro che ci trasporta in una storia di schiavitù e di orrore, vissuta da persone facenti parte della comunità nera degli Stati Uniti. È la storia di Sethe, una giovane donna che negli anni della Guerra civile, cerca di ribellarsi e fuggire dalla schiavitù scappando verso il Nord nella speranza di riuscire a vivere da essere libero.
E quando durante la fuga assieme ai suoi figli, Sethe viene raggiunta dagli uomini bianchi, per evitare che anche i suoi figli vengano catturati e torturati come schiavi, decide di ucciderli, riuscendoci però solo con una figlioletta. Nel 1873 Sethe e sua figlia Denver, finalmente sfuggite alla schiavitù, vivono al numero 124 di Bluestone Road, in una casa infestata dalla bambina morta che si manifesta come uno spirito irrequieto per la sorte subita: tutti salvo Sethe e Denver, sono per questo fuggiti dalla casa, come la madre del marito, che si è lasciata morire, ed i due figli maschi di Sethe che un giorno se ne sono andati senza dare più notizie. L’arrivo di Paul D, un ex schiavo con il quale Sethe condivide il terribile passato nella proprietà dove entrambi hanno servito come schiavi e dove ad un certo punto hanno subito violenze inaudite da parte dei padroni bianchi, sconvolge il precario equilibrio della casa dove lo spirito inquieto che la possedeva viene sostituito da una ragazzina ancora più inquietante, Beloved.
Un romanzo complesso ed inquietante dove al tema della schiavitù e del rapporto tra bianchi e neri, che ha caratterizzato – ed ancora purtroppo continua a segnare negativamente almeno una quota non piccola della società americana- gran parte della storia degli Stati Uniti, si aggiunge la tematica dei rapporti familiari e specialmente del rapporto madre-figlia e del labile confine tra la vita e la morte. Nella postfazione l’autrice dedica il romanzo ai milioni di africani che hanno perso la vita nel Middle Passage (cioè la deportazione degli schiavi neri dalle coste africane all’America del nord) e ad una storia che non deve essere dimenticata né dai bianchi né dai neri: “I bianchi credevano che, qualunque fosse la loro educazione, sotto ogni pelle scura si nascondesse una giungla … Acque vorticose non navigabili, babbuini che si dondolavano gridando, serpenti addormentati, gengive rosse pronte a succhiare il loro sangue dolce di bianchi.…….. Più la gente di colore si sforzava di convincerli di quanto fossero gentili, intelligenti e affettuosi, umani, più si usavano a pretesto per persuadere i bianchi di qualcosa che i negri credevano fosse fuori discussione, e più la giungla dentro si faceva fitta e intricata. Ma non era la giungla che i negri avevano portato con sé in quel posto dall’altro posto (vivibile).
Era la giungla che i bianchi avevano piantato loro dentro. E cresceva. E si allargava, si allargava prima, durante e dopo la vita, fino a coinvolgere i bianchi stessi che l’avevano creata. Li rendeva crudeli, stupidi, più di quanto non volessero esserlo, tanto erano spaventati da quella giungla di loro creazione. I babbuíni urlanti vivevano sotto la loro pelle bianca, le gengive rosse erano le loro.” Un bellissimo libro contro la schiavitù, importante da leggere per capire come la sopraffazione di una persona su un’altra (o di un gruppo su un altro) non possa essere la soluzione a nessun problema, se si vuole restare umani
Recensione di Ale Fortebraccio
Recensione 2
Cincinnati, Ohio. Una casa al numero 124. Tre donne, tre generazioni: la vecchia Baby Suggs, affrancata dalla schiavitù grazie al lavoro del figlio, la giovane Sethe, fuggita con i figli dalla tenuta in cui aveva vissuto da schiava, e la bambina, Denver, nata durante la fuga della madre e cresciuta sperimentando la schiavitù attraverso i ricordi e i racconti atroci delle altre due.
Poi c’è la casa, che è viva grazie a qualcuno che è morto: una casa “avvelenata” e “piena di rancore” che caccia via i due figli più grandi di Sethe facendo qualcosa che ognuno di loro pensa di non poter più sopportare. Baby Suggs muore dopo essersi messa a letto per anni a concentrarsi sui colori, uno alla volta, il blu il verde il giallo; muore prima di iniziare con il rosso.
Sethe e Denver continuano a vivere, evitando l’una i ricordi e l’altra le domande, convivendo con la casa, fino all’arrivo di un uomo che viene dal passato, dalla schiavitù nella tenuta di Sweet home; viene in visita e si stabilisce al 124, nel letto e nella vita di Sethe, cacciando (o almeno così sembra) il tormento dalla casa, che diventa una casa “normale”, così come “normale” sembra poter diventare la vita di Sethe e Denver.
Ma Paul D ha portato con sé il passato e Sethe è costretta a ricordare e a riempire i buchi della memoria aggiungendo ai suoi i ricordi dell’uomo, mentre Denver lo odia perché nella casa “liberata” si sente sola.
Un romanzo potente e atroce, raccontato con una narrazione frantumata, come frantumata è l’anima della protagonista Sethe, come frantumata è la sua vita, che il lettore ricostruisce pezzo dopo pezzo, raccogliendo le schegge dei suoi ricordi e dei suoi segreti: operazione questa – la ricostruzione – che ti obbliga a ferirti, a sporcarti di sangue, che ti taglia, lasciandoti cicatrici profonde.
Sethe cerca di insegnare alla figlia quello che sa della vita: che niente di ciò che è esistito muore o sparisce, che tutto continua ad esistere, lascia un’impronta di sé nei luoghi dov’è stato. Anche le case, gli oggetti, non solo gli esseri viventi: e noi possiamo percepirle, queste esistenze, magari credendo che siano ricordi – nostri o di altri – mentre sono reali, reali come le impronte di una manina che compaiono sulle torte sfornate da Sethe nella casa al 124 prima ancora che i suoi figli abbiano potuto annusarla.
Ma Sethe forse è pazza, e i pazzi non hanno niente da insegnarci.
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