GLI INTRAMONTABILI: Il Maestro e Margherita, di Michail Bulgakov
“La scrittura è capace di suscitare turbamenti di cui non è consapevole, perché cerca la bellezza dell’arte, inciampa nella verità della morale e, soprattutto, entra nel meandro del dilemma morale come un’ospite ingrata”.
Non è facile recensire un romanzo che ha avuto la capacità di frantumare tutti gli schemi razionali in cui la mente umana si barrica per difendersi dalle verità scomode.
Ci vuole coraggio e io non voglio essere accusata (dal demonio, per giunta) di vigliaccheria premettendo, comunque, che il romanzo in questione si presta più che a una lettura esoterica a offrire una chiave d’interpretazione essoterica cioè libera. Quindi, andiamo.
“Il Maestro e Margherita” è qualcosa che va oltre le regole della banale “scrittura creativa”.
È la verità che ridicolizza l’umanità trincerata nei suoi vizi spacciati per doveri morali, etici e politici, irrigidita dalle convenzioni e dal bisogno delle proprie egoistiche esigenze. È la denunzia sovversiva di ciò che è rimasto di quell’umanità imbruttita dal caotico e meccanico progresso che aliena e copre, impolvera, tace. Ma è il Diavolo che conduce il gioco. Ecco perché tutto si complica.
In un Mosca vitale degli anni ’30, sotto il dominio di Stalin, si presenta il Demonio con il suo strampalato seguito. E sovverte tutto. Porta a galla tutto.
Quel Male negato, oscurato, bandito scoperchia le pentole in ebollizione e strizza l’occhio in segno d’intesa, malizioso ammiccamento, con il Bene cosicché questo può adempiere il suo compito, con il divino perdono, di pulitore di anime. Woland, così si chiama il demonio, diventa l’elemento di equilibrio del divino.
Ma in quella Mosca che sembra più una frivola ” Ville Lumière” nessuno ha il coraggio di smascherare il Diavolo (chi ci proverà farà parte della schiera dei matti nella clinica psichiatrica del dottor Stravinskij).
Negare l’esistenza del demonio e del male sembra una strategia vincente: il diavolo non può essere un grande magistrato accusatore. Questo è illogico per l’umanità gretta e meschina che bazzica i teatri e veste alla moda.
Il negarlo è il gioco dell’inganno. Se il male non esiste non c’è e se non c’è l’umanità non riconosce i propri peccati. Ma l’arma ingannevole è a doppio taglio: non esiste il Male, non esiste il Bene. Punto.
E, no. Non è così facile. Il Diavolo non ci sta al gioco sporco, lui il re del fuoco purificatore. Se l’umanità vuole giocare al buonismo giochiamo. Vediamo chi vince.
E quando tutto sembra perduto spunta l’Amore che tutto può, anche l’impossibile.
Ci sono le donne innamorate, quelle che amano di un amore assoluto “nella buona o cattiva sorte”. E queste non hanno paura di niente. Non negano niente, guardano in faccia la verità.
Margherita entra in scena quando sembra tutto concluso in malo modo e non esita a fare un patto con diavolo. Piccola dolce, intrepida streghetta, “cosa non si fa per amore” (dal cartone animato Leone Cane fifone).
Il suo Maestro è salvo!
“Il Maestro e Margherita” è il romanzo più razionale, logico e virtualmente divertente che abbia mai letto.
Le acrobazie linguistiche soprattutto nei dialoghi dal profumo scenico, il gioco degli specchi, il grottesco non solo nel reale ma nell’immaginifico, ne fanno un capolavoro dissacrante di inconsapevole denunzia.
È un romanzo che attinge a piene mani al teatro dell’assurdo, al dramma dell’esistenza, al circense gioco acrobatico dell’abile prestigiatore di fumo.
È un romanzo d’amore, di quell’incredibile amore spogliato di ogni orpello estetizzante e visto nella sua pericolosa effige di resistenza a un potere oppressivo, un amore che nell’assoluto sfida, ad armi pare, l’ignoto, le tenebra, l’oscurità per ottenere la misericordia divina e, rinunciando a quei banali “fiotti di felicità tragica”, la vita eterna. Un amore eterno come è solo l’amore letterato.
A chi si accinge alla lettura del romanzo di Bulgakov, è bene che dia qualche intrepido consiglio: sciogliete le briglie è volate con Margherita a cavallo di una scopa.
Attraversate Mosca e Gerusalemme, salutate il vile Ponzio Pilato, si, proprio quello che se n’è lavato le mani.
Gingillatevi nel bizzarro appartamento n.50 in compagnia del grosso gatto nero, l’irriverente Behemoth, e del giullare Azazello possessore dell’unguento di eterna giovinezza.
Entrate nella casa dei matti portatori di verità.
Non scoraggiatevi se i nomi russi si ripetono e si modificano in vezzeggiativi, soprannomi e abbreviazioni: è l’umanità che si maschera con il gioco delle menzogne.
Non abbiate paura di perdere la scolastica razionalità e la logica didattica, per leggere il romanzo di Bulgakov bisogna spalancare la porta della quinta dimensione spazio/temporale e tutto si presenterà chiaro, limpido, cristallino. La matassa si dipanerà e ogni filo si legherà perfettamente al precedente e al successivo.
Il Maestro perdonerà Pilato e perdonerà anche voi, cari lettori, che siete riusciti ad andare oltre la viltà: premierà il vostro coraggio nell’avere ammesso che il Diavolo è in ognuno di noi.
Senza cenci e senza maschere, in versione adamitica, uscirete puri dalle fauci dell’ovvio, consapevoli che soltanto con un amore tenace, cocciuto, indelebile e assoluto come quello di Margherita, la vera eroina della storia, si ottiene la forza di sfidare la paura della verità. Non è il buio che spaventa, è la luce.
Scrittura potente, voce corale e stile inimitabile.
Recensione di Patrizia Zara
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