GLI INTRAMONTABILI: Il nome della rosa, di Umberto Eco (La nave di Teseo)
E’ la fine dell’anno 1327, l’Imperatore del Sacro Romano Impero Ludovico il bavaro cinge d’assedio Pisa con il suo fedele cane da guerra Castruccio Castracani (lo stesso Castruccio che cinse d’assedio anche il mio paese, Signa, proprio in quel 1327) e si prepara a scendere su Roma per prenderne il controllo. Il Papa, Giovanni XXII, è ad Avignone e insiste affinché Michele da Cesena, generale dei francescani, si rechi presso di lui per chiarire una volta per tutte la spinosa questione teologica della povertà di Cristo, molto scomoda per un papato che faceva della ricchezza materiale motivo di potenza temporale, oltre che spirituale.
Dottrina quella dei francescani in odore di eresia, esattamente come quella di fraticelli, dolciniani, catari e valdesi che da decenni illuminavano con i loro roghi le piazze di mezza Europa.
Questa è la cornice storica all’interno della quale si svolgono le vicende narrate in questo capolavoro della letteratura italiana per bocca di Adso da Melk, giovane novizio benedettino che accompagna in un’abbazia dell’Italia settentrionale Guglielmo da Baskerville, frate francescano al quale è stata affidata una delicata missione diplomatica di mediazione teologica con una delegazione di frati domenicani inviati dal Papa di Avignone.
Guglielmo, ex inquisitore e amico di Guglielmo da Occam (quello del rasoio di Occam, che non è un accessorio per l’epilazione profonda ma un geniale principio metodologico del quale tutto il mondo avrebbe urgente bisogno) e di Marsilio da Padova, si trova, incaricato dall’abate Abbone, a dover dipanare la complessa matassa di una serie di sette delitti che insanguinano l’abbazia e la straordinariamente ricca biblioteca che essa contiene.
Guglielmo affronta questo vero e proprio giallo in modo analitico, sfruttando la sua proverbiale intelligenza e la sua sconfinata cultura letteraria, destreggiandosi non solo fra trattati di medicina, erboristeria e storia della cristianità, ma anche fra libri proibiti di negromanzia scritti da infedeli.
Sarebbe però riduttivo definire questo libro semplicemente un giallo, perché è anche una gothic novel, un saggio di storia medievale, un racconto ideologico in chiave allegorica o, assai più semplicemente, un meraviglioso romanzo che alterna sapientemente pagine dal ritmo frenetico e capitoli di vera e propria divulgazione storica, talvolta assai complessi da digerire, ma comunque sempre piacevoli da leggere anche solo per il puro gusto edonistico di porre gli occhi su una prosa elegante, ricercata e dotta.
Potrei scrivere ancora molto su questo romanzo, ma vi assicuro che ogni ulteriore parola sarebbe un affronto nei confronti della perfezione strutturale e della pura bellezza stilistica che fanno di questo libro il capolavoro assoluto di un maestro, Umberto Eco, che resterà per sempre nel cuore di chi ama la lettura.
Recensione di Dino Ballerini
Il nome della rosa Umberto Eco
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