GLI ULTIMI GIORNI DI QUIETE, di Antonio Manzini
Durante un viaggio in treno apparentemente ordinario- il ritorno dalla visita a una cugina- Nora riconosce a bordo un uomo che non si sarebbe mai aspettata di incontrare, un uomo che non sarebbe dovuto essere lì, non dopo solo 5 anni, l’assassino del suo unico figlio. La sua ricomparsa precoce, frutto di sconti di pena e altri cavilli legali, riacuisce in Nora e nel marito Pasquale una ferita mai chiusa e getta lo scompiglio nella loro mente e nella loro vita; perchè lui, Paolo Dainese, sta cercando di rifarsi una vita e per la coppia questo è inaccettabile.
Prendendo spunto da un fatto reale Manzini realizza uno straordinario romanzo psicologico su tre personaggi tra loro legati da un filo di odio e dolore, sulle loro sensazioni, pensieri e decisioni, tra il desiderio di rivalsa di chi sa di avere un grosso torto alle spalle e i propositi di vendetta di chi non lo sa/può accettare. Una storia a flusso continuo, senza capitoli, dove la talentuosa prosa del nostro riesce a tenere alta la tensione nonostante la staticità di gran parte del romanzo. È un’opera dura, straziante, dove protagonista principale è il dubbio di fronte alle scelte compiute, dubbio alimentato dallo stesso autore che non prende posizioni ma si limita a registrare ogni minima reazione in modo quasi giornalistico, lo stesso dubbio che rimane in testa al lettore di fronte alle azioni dei tre personaggi principali. Un viaggio terribile e allo stesso tempo avvincente nella dimensioni umane e nelle sue pulsioni più estreme, per un verso o per un altro.
Un altro tassello fondamentale nella pregevole produzione letteraria di Antonio Manzini, un autore che, a mio avviso, riesce magnificamente a scrivere di tutto e a saperlo fare alla perfezione.
“ Non è giusto, ma è la legge”
Ispiratosi ad un fatto vero (un uomo incontrato anni fa in un treno e al quale avevano assassinato un figlio) Manzini prende spunto per raccontare tre diversi modi di affrontare il dolore che, esploso da un unico atto scellerato, marchierà la vita di tre persone indelebilmente, costringendo ognuna di queste a delle scelte differenti per poterlo superare e così avere qualche chance di sopravvivenza.
Nora e Pasquale sono una coppia di genitori distrutti dalla perdita del loro unico figlio, Corrado, ucciso da un malvivente, Paolo Dainese, durante una rapina alla tabaccheria di famiglia a Pescara.
Casualmente Nora, durante un viaggio in treno, intravede tra i passeggeri il volto dell’assassino di suo figlio, già fuori perché nonostante la condanna a quindici anni per omicidio preterintenzionale, ha usufruito di tutti gli sconti di pena previsti dalle leggi vigenti e dopo cinque anni, due mesi e quattro giorni è a piede libero, pronto a rifarsi una vita, cancellare il passato, trovare un lavoro, magari sposarsi e pensare a mettere in cantiere un figlio.
Per Nora è un dolore insopportabile. Suo figlio non avrà queste opportunità perché giace sotto terra, nell’ineluttabilità della morte. Corre a casa a comunicare la notizia a Pasquale, un padre schiacciato dai sensi di colpa perché il giorno della rapina avrebbe dovuto essere in tabaccheria al posto del figlio.
I due non comunicano più. Tutta la gioia è sparita dalla loro casa, tutta la speranza, tutto il futuro. Trascinano la loro vita ai confini dell’immensa frattura che ha separato una vita di prima, colorata e luminosa, da una vita di dopo vuota, buia e penosa.
Separatamente, entrambi decidono di reagire e metteranno in atto modi differenti per attuare quella vendetta necessaria per sopperire a tutte le carenze di una giustizia “ingiusta”. Ci riusciranno ma le loro strade si divideranno ancora in un tragico e crudele epilogo.
Senza mai giudicare, attraversando la sofferenza dei protagonisti, Manzini lascia dietro di sé una scia di domande impegnative e fondamentali per i suoi lettori, domande a cui non potrà essere data una risposta.
Per affrontarle bisogna però essere almeno in grado di comprendere a fondo il dolore degli altri, un dolore tanto forte che può aprire davanti a sé molte strade e sfociare in egoismo puro o in inattesa generosità.
Può essere un uomo condannato per sempre anche se ha già pagato il suo debito? E i parenti delle vittime? Possono anche loro essere condannati da innocenti a un “fine pena mai” che non dà nessuna possibilità di riscatto? Ma cosa è giusto e cosa non è giusto? Chi avrà il coraggio di oltrepassare il confine di questa domanda, tema principale di tutto il libro, sentenziando una verità assoluta pur sapendo che non esiste?
Non resta che immergersi nella lettura di questo dramma e viverne in pieno la disperazione, un sentimento forte e desolante che si accompagna ad una solitudine interiore ancora più devastante.
GLI ULTIMI GIORNI DI QUIETE, di Antonio Manzini
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