HIPPIE, di Paulo Coelho
Mi sono sempre piaciuti i libri di Paulo Coelho, in poco dicono davvero tanto.
Con un linguaggio semplice e chiaro e uno stile lineare vengono trattati temi profondi, interiori e, per certi aspetti, mistici se non addirittura altamente spirituali.
Ma con questo romanzo, forse, l autore, ha peccato di presunzione: nessun pathos, nessuna contemplazione, nessuna profondità.
Bruttino, sinceramente bruttino.
La trama è debole, lo stile anonimo, conversazioni al limite del paradosso (ho dovuto rileggere spesso alcuni dialoghi sconclusionati ); le “lezioni di vita” sono buttate dentro con forza, spesso fuori contesto : come se scrivendo il libro avesse aperto ogni tanto la sua agenda e copiato una massima/citazione.
La “crescita spirituale” dei personaggi avviene con una velocità impressionante precisamente in tre giorni a Istanbul! Bah!
Apprezzabili i riferimenti alla cultura hippie ma non sufficienti a capirla, ammesso che il messaggio non fosse proprio che neanche gli hippies capivano cosa facevano…
La spontanea empatia che di solito i personaggi di Coelho suscitano, in tale romanzo è del tutto assente.
E lo stile semplice e lineare diventa banale.
“L’amore sbaraglia l’oppressore con la propria delicatezza, placa la sete con la fresca acqua della tenerezza, spalanca le finestre e le porte per lasciar entrare la luce e la pioggia benedetta.
E muta il ritmo del tempo; lo rallenta o lo accelera: di certo, ne modifica le peculiarità, ed esso non sarà mai più monotono, insopportabilmente monotono”
Recensione di Patrizia Zara
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