I CANI DEL BARRIO, di Gianni Biondillo (Guanda – febbraio 2022)
Le prime pagine di questo noir mi hanno trasportato con la mente ai tempi in cui guardavo in tv la serie Starky e Hutch ma qui non siamo nel Michigan ma in alcuni quartieri degradati di Milano.
Nulla a che vedere con un impettito Poirot o un algido Sherlock Holmes ma nemmeno con l’educato e ironico Commissario Montalbano che però come Ferraro si strafoga di cibo assistito da Giulia, la sua imperturbabile, giovane e adorata figlia.
Una sera sentono delle urla provenire da fuori: è una donna chiusa in un automobile con un uomo che la sta importunando. Ferraro viene a sapere dalla donna che suo figlio è scomparso.
Siamo nel Barrio e il Barrio “suona sempre” come direbbe Mahmood in una sua celebre canzone.
Barcellona, Parigi o Milano: certi quartieri non perdonano.
Degrado in tutte le sue immancabili declinazioni di crimine e violenza.
Le indagini e i fatti portano Ferraro e Mimmo, buontemponi ma ligi al dovere, ad indagare negli anfratti più squallidi di una Milano che di meneghino ha ormai solo l’eco di un passato ormai lontano.
Oggi una immigrazione che fatica ad integrarsi ma anche l’irresistibile voglia di esserci ad ogni costo nei quartieri che contano conducono i due “detectives” a entrare nel marciume di certe storie per far emergere Verità e Giustizia, come ogni Tutore dell’ordine deve fare laddove si ravvisi un reato.
Scazzottate, inseguimenti e spionaggio lasciano il lettore incollato alle pagine di questo noir ironico e pungente al punto giusto.
Il romanzo non mancherà di far sorridere di fronte a certi godibili e divertenti dialoghi con la figlia che lo “sgama” sempre nel suo essere d’antan e cialtrone.
Fra le risme mi sono trovata vicina al sentimento che muove la penna dell’autore quando racconta dei suoi simpatici battibecchi con Giulia: da genitrice di una fanciulla che non ha mai sfogliato un giornale in vita sua ma che accede all’informazione da un “giocattolo digitale” auspicherei che riesca a discernere fra la “Fogna di Facebook” (cito l’Autore) o di altro pessimo giornalismo da una informazione corretta e sincera.
Andando al cuore del noir e prescindendo dalla finzione, la rassegnazione si legge tutta: dove la Legge e la Giustizia non esistono più non può che trovare spazio la rassegnazione. Il gestore del Bazar, originario del Bangladesh, neanche più denuncia i tanti teppistelli che arraffano la mercanzia, non si scompone, li lascia andare.
Per chi volesse conoscere Milano, sparpagliati qua e là ci sono interessanti e godibili spunti sulla città meneghina e i suoi luoghi comuni come quando “noi del ’66” eravamo Paninari, Truzzi, Sanbabilini o provincialioti.
Fuori dalla finzione narrativa si profila tutto un sottobosco fatto di giovani spacciatori spesso extracomunitari che arrivati senza possibilità o volontà di integrazione sociale lastricano le vie di una banlieue milanese dove le famiglie non di rado e non sempre per volontà sono assenti. Genitori come Marisol che devono arrabattarsi per guadagnarsi di che vivere facendo lavori dignitosi, umili e pagati malissimo si trovano spesso a dover combattere con figli cresciuti da losche compagnie, le famose ” Gang ” con le quali riunirsi per raid di scazzottate utili a rimarcare “io meno e perciò esisto”.
Cronaca nera, a Milano come altrove e anche vizio, vizio di uomini, giovani e meno giovani, senza scrupoli, assetati di potere che utilizzano il sesso praticato con giovani ragazzine ostentate come l’ultimo oggetto di lusso.
Non è solo un romanzo noir, I Cani del Barrio è la disamina cruda di una Società che ha perso ogni suo punto di riferimento.
Recensione di Ivana Merlo
I CANI DEL BARRIO, di Gianni Biondillo
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