I SALICI, di Algernon Blackwood (Abe editore)
“[] la consapevolezza che la mia mente fosse cosi ricettiva a scenari così pericolosi portò con se’ la paura che l’attacco sarebbe arrivato -e stava arrivando- attraverso le nostre menti e non attraverso i corpi”
È in piccolo formato questa ben curata edizione illustrata de “I salici” di Blackwood, considerato dallo stesso Lovecraft come uno degli esempi meglio riusciti nella letteratura inglese di racconto del sovrannaturale.
Due amici e compagni di avventura, in gita in canoa sul grande Danubio, sono costretti a fermarsi un paio di giorni sulla cosiddetta Sumpfe, area “particolarmente solitaria e desolata, dove le acque si estendono da tutti i lati incuranti di un canale principale, e dove la terra diventa una palude per miglia e miglia, ricoperta da un vasto mare di basse siepi e di salici.”
Quello che sembra all’inizio un normale accampamento provvisorio di emergenza diventa a mano a mano una condizione di stupore, di disagio, di preoccupazione, di disturbo, di inquietudine, di paura, di angoscia, di panico.
Parla il fiume, parla il vento, i salici si muovono. L’acqua si alza, le sponde si sbriciolano, dai salici salgono verso il cielo onde misteriose, come nere fiamme agitate dal vento. Un gong risuona incessante, cupo, vicino, lontano, a destra, a sinistra, in cielo sott’acqua, fuori, dentro. Ma sono davvero i canti del fiume, sono davvero i bisbiglìi del vento? E quelle forme che ondeggiano e si sollevano verso il cielo sono davvero le cime dei salici?
“Shh!” Sussurrò, sollevando la mano. “Non parlarne più del necessario. Non rivolgerti a loro per nome. Nominarli vuol dire rivelarli, sarebbe la definizione inevitabile, e la nostra unica speranza sta nel continuare a ignorarli, così che anche loro ignorino noi”
Ma chi o cosa sono “loro”?
Finisco spiegando perché ho scelto due citazioni (che trovo profondamente vere) per aprire e chiudere il mio breve commento
1- “[] la consapevolezza che la mia mente fosse cosi ricettiva a scenari così pericolosi portò con se’ la paura che l’attacco sarebbe arrivato -e stava arrivando- attraverso le nostre menti e non attraverso i corpi”
# perché le nostre esperienze più forti sono effettivamente di tipo mentale e non fisico. Ed è la testa che diventa per noi un nemico/ostacolo, non il corpo
2- “Shh!” Sussurrò, sollevando la mano. “Non parlarne più del necessario. Non rivolgerti a loro per nome. Nominarli vuol dire rivelarli, sarebbe la definizione inevitabile, e la nostra unica speranza sta nel continuare a ignorarli, così che anche loro ignorino noi”
# Questa idea di non voler dare un nome alle cose, di non cercare di conoscerle, di ignorarle fin quando è possibile è da sempre stato un meccanismo di difesa molto utilizzato dagli uomini. Mi ricorda moltissimo il gioco a nascondino dei bambini, i quali per nascondersi stanno in centro della stanza e semplicemente chiudono gli occhi perché “se io non ti vedo, allora tu non puoi vedermi.”
Un racconto questo de “I salici” che ha nella sua brevità moltissime cose da dirci
Recensione di Benedetta Iussig
I SALICI Algernon Blackwood
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