IL BOTTONE DI PUŠKIN, di Serena Vitale (Adelphi)
Recensione 1
Lo spunto è semplice e piuttosto noto: la morte in duello di Puskin, a soli 37 anni, per mano di un invadente spasimante della bellissima e giovane moglie.
Serena Vitale propone una ricostruzione documentatissima dei fatti che portarono alla tragedia e del contesto storico in cui si svolsero.
Ho finito il libro piena di ammirazione!
Come è possibile investire il lettore con una valanga di documenti storici (dalla lettera ufficiale al “pizzino”) e di personaggi dai nomi ostici (che appena tu sei riuscita a memorizzarli lei inizia a chiamarli diversamente! Ma poi, in un sussulto di coscienza, in fondo al libro inserisce l’elenco completo in ordine alfabetico, squarcio di luce nella nebbia in cui lei stessa ti ha trascinato).
E poi tutte le ipotesi sui motivi che portarono al duello, più o meno convincenti (gelosia amorosa, smania di possesso, lesa maestà, cospirazione politica e chi più ne ha più ne metta).
Come è possibile fare questo per quasi cinquecento pagine eppure realizzare un libro delizioso, interessante, intrigante.
E molto intelligente: ti porta a concludere con disagio che in questa vicenda tutti hanno avuto quello che desideravano (compreso il morto, da un certo punto di vista) e che gli unici ad averci perso siamo noi, privati di almeno una trentina di anni di grande letteratura.
Per farlo bisogna essere veramente molto bravi, e lei lo è (semi cit.).
“Affinata da dolore e sgomento, la memoria dei contemporanei ritrova in sé particolari che altrimenti avrebbe trascurato: amplificate, magnificate, elevate a presagi della prossima fine, parole e azioni talvolta casuali vanno a infoltire le ultime pagine delle biografie. E’ naturale: la morte dei grandi è valle di echi, magica lente di ingrandimento.”
Recensione 2
Questa é la cronistoria di un dramma, che ai nostri occhi, distanti nel tempo, può sembrare tragicomico o forse, lo fu, anche. L’autrice ci conduce, come una consumata detective, nei meandri più segreti, rovistando fra i risvolti psicologici, scartabellando pile di documenti, deducendo e sottolineando anche i più minuti dettagli, nel tentativo di ricostruire un evento che per secoli fu considerato dalla Russia come una terribile sciagura : la morte di Aleksandr Sergeevič Puškin, gloria poetica nazionale. Ci presenta minuziosamente i tre protagonisti, lei, lui, e l’altro, un classico triangolo amoroso che finì in duello mortale, il tutto consumatosi molto velocemente, in una manciata di anni e conclusosi un freddo pomeriggio del febbraio 1837. Ricostruisce meticolosamente le azioni, i gesti, i pensieri, le pulsioni dei personaggi principali, lo svolgersi convulso e spesso intricato degli avvenimenti, ma anche lo sfondo sociale e culturale di un dramma della gelosia, piuttosto consueto.
Un ritratto brillante, puntuale della Pietroburgo ottocentesca, in particolar modo dei rituali, dei modelli comportamentali, dei cliché della variegata nobiltà russa : i balli, i salotti, i pettegolezzi, le stagioni, le ipocrisie, la Neva e le sue bizze, il clima asfittico, le rigide quanto inutili etichette di corte, i controlli spionistico-polizieschi, gli odi e i rancori fra famiglie e loro adepti, le pasquinate e burle atroci, i processi per diffamazione, le punizioni dello Zar Nicola I, onori e disonori, il diffuso ed accettato marciume morale, i tanti arrivisti ed arrampicatori sociali, i matrimoni riparatori, un mondo che era più di apparenza che di sostanza.
Spesso e volentieri l’autrice fa parlare direttamente i numerosissimi documenti cartacei consultati, corrispondenze intime, articoli di giornale, atti processuali, taccuini e diari privati, cronache e memoriali, biglietti, dichiarazioni, dispacci diplomatici, non solo delle persone direttamente coinvolte, ossia il poeta, la di lui bella moglie Natal’ja ed il disgraziato corteggiatore, l’ufficiale francese Georges D”Anthes, ma anche di una sequenza infinita di testimoni, uomini e donne dell’alta aristocrazia pietroburghese che, quasi fosse diventato il passatempo preferito, si premurarono di commentare, diffondere, raccontare, riferire, difendendo alcuni ed ingiuriando altri, il visto o il sentito dire, fra buona e mala fede. Tale accanimento, il fatto che in città non si pensasse o parlasse d’altro, che si origliassero discorsi ai balli, che si spettegolasse su aneddoti privati, rende bene il clima detestabile che il poeta stesso mal sopportava. Puškin qui appare più che nella sua grandezza poetica, un uomo con le sue fragilità e debolezze, un marito geloso ossessionato, alimentato da rancore, rabbia e sete di vendetta, scaltro e lucido, scostante, capriccioso, irrequieto, determinato fino alla fine a non risultare una vittima passiva. Lo vediamo denudato da quell’alone di sacralità, da quei travisamenti ideologici e luoghi comuni, che lo avevano ricoperto in epoca sovietica.
E anche se molte tessere sono mancanti, numerosi particolari restano nel buio o non coincidono e talora ci si deve affidare a logica e deduzione, il mosaico prende forma. Da paziente restauratrice, pagina dopo pagina, ci mostra uno spettacolo farsa, in cui ognuno recita una sua parte, un turbinio di intrighi e un frenetico viavai di messaggi e lettere, ci sciorina tutte le innumerevoli ipotesi, facendoci infine sprofondare con zelo in quella vita che il poeta volle ostinatamente, atrocemente farsi togliere.
Recensione di Anna Caramagno
IL BOTTONE DI PUŠKIN Serena Vitale
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