IL BUIO OLTRE LA SIEPE, di Harper Lee LIBRO E FILM
Avevo visto tante volte, durante gli anni, il famoso film “Il buio oltre la siepe”, ma non avevo mai saputo, fino a qualche anno fa, che fosse tratto da un libro omonimo, finché, alla bancarella dell’usato non mi è capitata una vecchia copia della Feltrinelli del 1968 sulla cui copertina è riportata l’immagine della piccola attrice (Mary Badham), che interpretò Scout, il personaggio principale.
Nel libro, infatti, narrato in prima persona, a raccontare i fatti accaduti nella prima metà degli anni ’30 del ‘900, nell’immaginario paese di Maycomb, in Alabama, quindi nel sud degli Stati Uniti, è proprio l’ormai adulta Jean Louise, detta Scout, figlia di un avvocato vedovo, Atticus Finch, e sorella minore di Jeremy, detto Jem, da cui si distanzia di 4 anni.
Ai due piccoli Finch, d’estate, si aggiunge sempre Dill Harris, nipote di una donna residente nella cittadina.
La vita a Maycomb è monotona e piatta, fa molto caldo d’estate e non c’è nessuno con cui giocare, per questo i tre monelli organizzano una sfida, pur di fare uscire dal suo isolamento Arthur Radley, altrimenti detto Boo, la cui proprietà di famiglia confina con quella dei Finch.
Ma a Maycomb non c’è solo il mistero che aleggia attorno a Boo Radley, che nessuno ha più visto da molti anni in qua: c’è una nutrita comunità di “negri”, che non si è mai veramente integrata con quella bianca, sempre pronta a disprezzare, maltrattare e umiliare chiunque avesse la pelle scura. La maggior parte di questi ultimi lavora onestamente e vive in maniera decorosa, al servizio dei bianchi, proprio come Calpurnia, la fidata governante di casa Finch, al cui capofamiglia viene proposto di difendere un negro accusato di stupro nei confronti di una dicianovenne bianca…
L’Alabama è nota da secoli per essere uno degli stati “sudisti” più accaniti alla “tradizione” schiavista e, di conseguenza, all’aperto atteggiamento razzista nei confronti della gente di colore ed è per questo che un personaggio singolare, come Atticus Finch, attira inesorabilmente l’attenzione in bene e in male. Mi fermo qui nella narrazione dei fatti, poiché, pur essendo note le vicende che caratterizzano la storia, non voglio rovinare la lettura a coloro che non hanno ancora letto il libro o visto il film.
IL FILM
E adesso veniamo proprio alla trasposizione cinematografica in b/n del romanzo, intitolata sempre nello stesso modo: “To kill a mokingbird”, per la regia di Robert Mulligan e la strepitosa interpretazione di Gregory Peck nei panni dell’avvocato Finch, che gli valse l’Oscar nel 1963.
Pur essendo molto fedele al libro, la pellicola si discosta, in alcuni punti, come, ad es., la scomparsa totale del personaggio di zia Alexandra, sorella di Atticus, venuta a trattenersi per femminilizzare una selvaggia senza speranze come Scout, e tagliata fuori senza tanti complimenti, il quale personaggio, seppur non principale nella vicenda, aveva un senso: evidenziare la netta differenza tra la classica donna (e comunità) bianca, arroccata sulle sue posizioni, come quasi chiunque altro in quella comunità razzista per tradizione, e il bonario e, apparentemente, passivo Atticus, in realtà anarchico e indipendente nelle sue coraggiose scelte, a cominciare dall’educazione dei propri figli, da cui si fa chiamare semplicemente per nome, ma di cui i bambini riconoscono la piena autorità paterna, sempre presente nella loro infanzia autarchica e spensierata.
In entrambe le versioni, si assapora il lento divenire di quella immaginaria cittadina assolata e sonnolenta del profondo sud da cui la stessa scrittrice, Harper Lee, proveniva, essendovi nata nel 1926.
Dietro la figura dell’amichetto Dill Harris, invece, si nasconde quella di Truman Capote, amico di lunga data dell’autrice, che l’incoraggiò a metter su carta i ricordi della sua infanzia.
Il titolo in inglese “To Kill a Mokingbeard”, uccidere un tordo in italiano, fa riferimento all’inutilità di un’azione come l’ammazzare un uccellino indifeso e che non fa male a nessuno, frase che viene ripresa un paio di volte nel film; mentre la traduzione italiana, “Il buio oltre la siepe”, fa riferimento all’inquietudine che dà, nei bambini, la mancata conoscenza del misterioso vicino di casa Boo Radley.
Il libro fu pubblicato nel 1960 e, nel 1961, ottenne il premio Pulitzer, mentre l’adattamento cinematografico è datato 1962 e ottenne ben 3 Oscar, tra cui uno a Gregory Peck quale migliore attore protagonista, approvato, per la parte di Atticus, dalla stessa Harper Lee perché interpretasse un ruolo nella cui figura si delineava quella di suo padre.
Nel 2015 venne lanciato un sequel del suo primo e più famoso romanzo, intitolato “Go, set a watchman”, tradotto in italiano “Va, metti una sentinella”, che l’autrice disse di aver scritto precedentemente alla sua più famosa opera, ma che, non venendo accettato, le fu consigliato di rivederlo e riscriverlo.
Non si è mai saputo se questa storia fosse vera, nonostante H. Lee ne rivendicasse la maternità, ma è facilmente comprensibile l’incredulità e lo sgomento che può suscitare apprendere il repentino capovolgimento del virtuoso Atticus Finch, avvenuto in questo secondo romanzo, rispetto alla rettitudine che lo caratterizzava nel primo.
DA PARTE MIA ho gradito entrambe le versioni: il libro, in edizione Feltrinelli del 1968, tradotto da Amalia D’Agostino Shanzer, molto agile e gradevole nella descrizione della piccola Scout: una specie di maschiaccio, che ha però conservato la sua innocenza e la sua purezza, perfino di fronte all’atrocità di un’accusa e un processo come quelli cui assiste.
Ma anche la figura di Jem non fa eccezione, ben delineata nei primi anni della fanciullezza quindi più insofferente, da preadolescente, nei confronti della onnipresente sorellina.
Il personaggio di Atticus è, invece, a dir poco geniale: non si può non amare un padre vedovo così amorevole e tollerante, ma anche molto attento all’educazione impartita ai figli, nonostante i gravosi impegni di lavoro.
Anche il film è meritevole, prima di tutto perché la sceneggiatura ha mantenuto intatta la vera essenza della personalità dei personaggi, quindi tutto l’impianto circostante, dal processo alla questione razziale, tipica del profondo sud degli Stati Uniti di quegli anni, dal pacato raccontare della voce narrante allo squallore e la malcelata cattiveria di certi bianchi, per finire con la vicenda del giovane Radley.
È per questo che mi sembra opportuno consigliarlo doppiamente sotto forma di piacevole lettura e di altrettanto gradevole visione.
Di Lena Merlina
IL BUIO OLTRE LA SIEPE, di Harper Lee LIBRO E FILM
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