Il senso più drammatico della condizione umana nella novella “IL BUON VECCHIO E LA BELLA FANCIULLA” di Italo Svevo
Il titolo della novella di Italo Svevo sembra appartenere a una fiaba dai delicati propositi: un vecchio saggio e una fanciulla pura, soave preludio di una storia quasi santificata.
L’incontro fra la saggezza e l’ ingenuità, il tramonto e l’alba, in una fusione di elevazione morale e sociale.
Bene, nulla di tutto ciò: tradotto dalla teoria alla pratica diventa contorto, sporco e lugubre.
Del resto la novella è scritta dal maestro che più di tutti ha saputo raccontare nei suoi romanzi l’inettitudine umana, l’incapacità a vivere, il dualismo tra il bene e il male, tra la carne e lo spirito, le contraddizioni insolubili dell’esistere.
Ironica, lieta e commovente la novella è una storia tormentata d’ amore tra un vecchio che di buono ha solo i propositi e di una fanciulla che di bello ha solo l’aspetto fisico.
È una favola tormentata, intrigata, polverosa, labirintica che oscilla continuamente fra forze contrapposte in quanto ogni forza inevitabilmente lotta contro il suo opposto.
Il vecchio ama la giovane, la vecchiaia vuole abbeverarsi della gioventù e di contro questa vuole riscattarsi cedendo alla vecchiaia cadendo l’uno nella trappola della morte e l’altra nell’immoralità: è la vita stessa che oscilla come un pendolo!
E così noi lettori assistiamo alla decadenza del vecchio che diventa sempre più misero e piccolo nel contenere il suo desiderio sessuale, sempre più debole perché preoccupato dell’insensato desiderio di apparire puro; assistiamo all’evolversi della giovane ormai perduta nel lusso e nell’immoralità, conscia del suo potere, apatica e insensibile.
E’ una novella tipica dell’ autore de “La coscienza di Zeno” e originalissima nell’amaro quanto imprevedibile finale che con una tardiva passione (la scrittura) riscatta in qualche modo l’incapacità di vivere del vecchio, lasciando la morte a mani vuote.
Buona lettura.
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