IL CANTO DEL BOIA, di Norman Mailer (La nave di Teseo – aprile 2021)
Per raccontare una storia vera che a suo tempo fece scalpore, lavorando con uno dei testimoni delle fasi finali, potendo accedere a pagine e pagine di interviste con i protagonisti, a decine di pareri legali e psichiatrici, a centinaia di articoli su giornali e riviste, non c’è bisogno di avere particolare fantasia.
Per realizzare un’opera mastodontica come questa, invece, e far sì che il lettore rimanga attaccato alla pagina perfino durante i ringraziamenti nella postfazione, bisogna avere talento da vendere e molto altro.
Prima di tutto, la scrittura: fluida, coinvolgente, agile.
Poi lo sguardo: obiettivo, equilibrato, franco.
E ancora l’onestà intellettuale, la conoscenza del mestiere, il senso della giustizia e quello della pietà.
Ma tutto questo non basterebbe a fare di un buon libro una grande opera se l’autore non fosse stato capace di metterci qualcosa in più.
La storia di Gary Gilmore trentacinquenne, che dopo 15 anni di reclusione ha l’occasione di dare una svolta alla sua vita ma che fallisce malgrado l’affetto dei parenti, l’occasione di un lavoro, l’incontro con l’amore, potrebbe sembrare comune a tanti. E forse lo è, ma non certo comune è la capacità di Mailer di guardare l’Uomo nella sua complessità, di vederne il fascino e lo squallore, interrogandosi (e spingendo il lettore a interrogarsi) su cause e effetti, evitando sia giudizi morali che giustificazioni sociali. Il libro affronta temi importantissimi: il dibattito sulla pena di morte, l’efficacia del sistema giudiziario, il potere dei media, l’amore come strumento di manipolazione e di ricatto, e tanto altro ancora.
Ma il punto di forza a mio parere è proprio il tentativo di guardare nelle profondità dell’animo umano, andando oltre i concetti di bene e male, senza pretendere di capire o spiegare.
Inevitabile pensare a Capote e al suo A sangue freddo, ma a dire la verità, Il canto del boia mi ha coinvolto di più.
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