IL DIRITTO DI “STRONCARE” – QUESTA TEMPESTA James Ellroy

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IL DIRITTO DI “STRONCARE”

QUESTA TEMPESTA, di James Ellroy

 

QUESTA TEMPESTA James Ellroy

Non sono portata alle stroncature, nella lettura, come nella vita, quello che non mi piace non catalizza il mio interesse oltre la presa d’atto della sua esistenza, la vita è troppo breve, per stare dietro a chi o cosa non mi lascia emozioni o ne trasmette di negative.

 

Ma. C’è sempre un ma. Il principio decade se si tratta di persona cara, o di autore che stimo e in precedenza mi ha dato momenti indimenticabili. Questa volta, con “Questa Tempesta” caro James Ellroy mi hai proprio fatto male!

 

 

Ottocentosessantaquattro pagine di sofferenza portate a termine perché ti amo di quel amore forte perché fatto anche di odio: non ti ho accolto subito, mi hai respinto e ti ho respinto ma mi avevi lasciato addosso quel “Je ne sais pas quoi » che alla fine la vince e ritorni, e son ritorni duraturi e proficui; ho mollato gli ormeggi e ti son venuta dietro, ho capito il tuo ritmo, superato, anzi amato la custicità del tuo stile, adorato il tuo narrare da guardone, per sempre confinato in quel casotto di legno dalle cui fessure hai osservato, da bambino le brutture più atroci e che hai sfruttato, da adulto, per osservare e raccontate con sguardo lucido e disincantato, a volte distaccato, restituendolo nella narrazione del male, quel male che non ha spiegazione, esiste e basta. I tuoi eroi sono prigionieri di ossessioni personali, le loro pulsioni incontrollabili e inconfessabili e tu le racconti divinamente perché non si tratta di ispirazione letteraria ma è rielaborazione della tua tragica esperienza personale che hai raccontato in “I Miei Luoghi Oscuri”.

 

 

Per leggerti bisogna sentirti, tu non hai nessuna cortesia per il tuo lettore, lasci che ti sieda accanto e gli permetti di guardare insieme a te, se empatizza bene, se no il mondo è pieno di altri scrittori.

Così ho guardato insieme a te una America che gli altri non raccontano, avida, corrotta, spietata, paga di sé e incurante del resto. Le pagine che hai scritto, compresa la tetralogia di cui “Queta Tempesta” fa parte ci mostrano una America che non si trova sui libri di storia ma che resterà imprescindibile come poche altre se si vuole conoscere veramente. Però questa volta hai esagerato, per quanto ti ami mi son sentita esclusa, respinta, spesso infastidita in ogni capitolo. Nulla da dire al tuo stile, anche se questa volta, più che stringato oserei definire strozzato.

 

 

Non mi puoi confondere le idee raccontando e ripetendo fatti ogni volta che introduci un nuovo personaggio e Dio sa quanti ne hai introdotti: nuovi, vecchi, reali, inventati, alcuni assolutamente superflui e messi lì senza altro apporto che complicare la vicenda, con nomi e soprannomi astrusi, talvolta simili e assemblati in modo che sembrano risultare dal rapporto di un poliziotto semianalfabeta, più che dal grande scrittore che sei.

Mi domando cosa mi resterà di questa corposa lettura, perché a parte la comprensione dei personaggi già incontrati in Perfidia credo di non aver capito niente.

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