Il fascino ossessivo della Matematica
Astrusa, arida, spigolosa, difficile, inumana e tanti altri sono gli epiteti che la Matematica ha subito in passato e continua a subire ancora oggi, a dispetto del fatto inequivocabile che senza il suo sviluppo noi vivremmo ancora sulle palafitte. Eppure, chi osa approfondirne lo studio con animo scevro da ogni preconcetto, spinto dalla sete della conoscenza (meglio, della Sapienza) può scoprirne aspetti meravigliosi, concatenamenti impensabili e imprevedibili tra i suoi diversi rami per cui se ne può essere infettati irrimediabilmente, e l’infezione più grave si ha quando si viene a conoscenza di tante congetture ancora non dimostrate, perché la loro dimostrazione darebbe la gloria.
Quando nel 1994 Andrew Wiles dimostrò l’Ultimo Teorema di Fermat, la Matematica si guadagnò i titoli nelle prime pagine dei quotidiani anche se quasi nessuno dei laymen comprese bene di che cosa si trattasse. Lo stesso accadde con il matematico russo Grigorij Jkovlevič Perel’man quando nel 2002 dimostrò la congettura di Poincaré, (ma fece più notizia il suo rifiuto della Medaglia Fields e del premio milionario dell’Istituto Clay). Uguale sipario si aprirà, forse in misura ancora maggiore, per la congettura di Riemannsulla distribuzione dei numeri primi, croce e delizia di tutti i matematici. Ma vi è ancora un’altra famosa congettura che aspetta l’onore di diventare un teorema e che resiste dal XVIII secolo ad ogni tentativo di dimostrazione, quella dovuta al matematico Christian Goldbach secondo la quale ogni numero pari maggiore di due si può scrivere come la somma di due numeri primi.
Tutto il suo fascino risiede proprio nell’estrema semplicità della sua formulazione, per cui è comprensibile anche ad un ragazzino. È tale il fascino di questa congettura, che ad essa si sono ispirati due matematici con due romanzi presto diventati bestseller: Zio Petros e la congettura di Goldbach, scritto da Apostolos Doxiadis nel 1992, e Le ostinazioni di un matematico scritto da Didier Norton nel 2002. Le trame dei due romanzi sono molto simili: entrambe ruotano attorno alle figure di due matematici antieroi che hanno rovinato le proprie carriere accademiche proprio perché hanno avuto l’ossessione di dimostrare la congettura per raggiungere l’immortalità.
Il primo, Petros Papachristos, era ritenuto dai fratelli minori addirittura “il prototipo del fallito”, forse per il fatto che secondo loro egli avesse gettato via il suo genio matematico per rincorrere l’impossibile. Il secondo, Armand Duplessis, da sempre in simbiosi con i numeri, vive continuamente avventure fantastiche e grottesche, guardato con sufficienza dai colleghi accademici, tra incubi che confida alla moglie e varie fissazioni in cui i numeri sembrano guidare anche le vicende della sua vita privata. Due letture altamente godibili in cui la finzione si intreccia nel primo romanzo con figure reali di matematici, mentre nel secondo i nomi di tanti matematici vengono volutamente e ironicamente storpiati. Alla fine questi due antieroi diventano simpatici, perché incarnano anche la nostra aspirazione, quella di rifugiarci in un mondo di armonia e di bellezza per fuggire da quello reale
Di Aldo Scimone
L’ULTIMO TEOREMA DI FERMAT Simon Singh
1 Trackback / Pingback