IL FU MATTIA PASCAL, di Luigi Pirandello
Recensione 1
Lo dico spesso, c’è un tempo per ogni lettura e questa volta sentivo che era giunto il momento di dedicare la mia attenzione ad un libro di cui conoscevo a tratti la storia, ma che non avevo avuto ancora l’occasione di concedergli la giusta considerazione.
Ecco, Pirandello merita attenzione, altroché se la merita! Datato 1904, il romanzo inaugura il genere moderno della letteratura italiana. Opera innovativa, che unisce insieme sperimentazione e creazione e dove al suo interno troviamo anche digressioni filosofiche, nonché una forma drammaturgica che dona al romanzo uno stile molto particolare, creando uno scenario quasi teatrale.
La storia comincia dalla fine della vicenda ed è narrata in prima persona. La tecnica del monologo interiore di Pirandello elimina il narratore perché fa parlare direttamente il protagonista del romanzo, cioè Mattia Pascal. Un’altra novità è data dal linguaggio che l’autore utilizza e che dona al racconto un tono enfatico e recitativo, ricco di originalità ed ironia. Inoltre l’impianto narrativo presenta una struttura circolare, inizia dalla fine della vicenda e si conclude tornando all’inizio. Sostanzialmente la storia racconta la vita di un uomo che grazie al caso ha la possibilità di liberarsi della propria inutile esistenza per assumere una nuova identità, una nuova “maschera”.
Ma il nuovo “io” si rivela in realtà un’ombra, “…E di nuovo per le strade senza scopo, nel vuoto, con la paura di cadere di nuovo nei lacci della vita, questo pensiero mi avrebbe tenuto lontano più che mai dagli uomini. Ad un tratto vidi la mia ombra e feci l’atto di calpestarla, ma poi mi ritirai indietro. Non potevo calpestarla l’ombra mia, chi era più ombra di noi due? Io o lei? Due ombre là per terra e ciascuno poteva passarvi sopra…..” Struttura brillante, pensiero profondo e provocante “..non siamo come l’albero…a noi è toccato un triste privilegio, quello di sentirci vivere.”
Sicuramente un libro senza tempo!
Recensione di Marzia de Silvestri
Recensione 2
Un classico tira l’altro.
Così dal verismo de “I Malavoglia” all’umorismo de “Il fu Mattia Pascal”.
Vale a dire dall’autodescrizione della vita sociale, quale essa risulta alle osservazioni esterne (l’opera di Verga), alla rivelazione della vita sociale, quale risulta alle osservazioni esterne (l’opera di Pirandello).
Ma non vi voglio annoiare con una trattazione didattica.
Quando decido di leggere un cosiddetto classico intraprendo la lettura con lo spirito del presente, sgravandolo dalle molteplici trattazioni, studi, argomentazioni e conclusioni.
E così è stato per “Il fu Mattia Pascal”.
Il romanzo nella sua cronologia scenica risulta accattivante, accende già da subito l’attenzione del lettore, ne sono sicura. La trama, poi, indubbiamente è intrigante.
Nella parte prima del libro, la narrazione in prima persona del particolarissimo quanto comune Mattia Pascal, si presenta come una rivelazione, una favola straordinaria dove i desideri, seppur inconsci, si realizzano senza troppi sforzi – l’equivoco che annulla un’identità – e la fortuna non sembra cieca – la grossa vincita al casinò – .
Orsù chi non ha mai sognato di ricominciare tutto daccapo? Una nuova vita? Chi non ha mai desiderato annullare un increscioso passato per rimettersi in gioco con una nuova identità?
Che divertimento ho provato nel leggere queste 240 pagine! Un vero spettacolo!
E sì, uno spettacolo rappresentativo dove la realtà supera la fantasia e la capacità dell’autore ne crea un’opera d’arte!
In diciotto capitoli Pirandello snoda una storia in cui il personaggio principale si sdoppia per cercare di rivelare, dietro la maschera delle convenzioni sociali, la profondità vitale che l’uomo, e in esso tutta l’umanità intera, ha perduto la libertà di essere se stesso, senza finzioni e senza catene:
“Ero solo ormai, e più solo di com’ero io non avrei potuto essere sulla terra, sciolto nel presente d’ogni legame e d’ogni obbligo, libero, nuovo e assolutamente padrone di me, senza più il fardello del mio passato, e con l’avvenire dinanzi, che avrei potuto foggiarmi a piacer mio.
Ah, un paio d’ali. Come mi sentivo leggero!”
Ma è così la libertà? E no, troppo facile.
L’uomo è il suo vissuto e tutte le cose che attraversa acquistano la dimensione dei ricordi, le fa proprie nella sua dimora di spazio e tempo. Senza il peso del passato svanisce l’essenza stessa dell’uomo.
L’uomo è un essere sociale e in quanto tale ha bisogno di quelle convenzioni che lo uniscono ai suoi simili e senza, si smarrisce nella profondità del nulla.
E così Adriano Meis, il nuovo volto del nostro fu Mattia Pascal, si trova imbrigliato nella sua stessa libertà; libertà, questa, che cozza con quella vita sociale a cui non voleva soccombere.
Oh povero Adriano/Mattia che pasticcio d’identità, che confusione sentimentale, che solitudine! Il fato ti ha dato la possibilità di scoprire il tuo nudo volto, di toglierti quella maschera che ti rendeva marionetta in un macchinismo sociale artificioso e complicato e tu, caro, che cosa hai fatto?
Mi chiedo ora, sei felice?
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