IL FUOCO CHE TI PORTI DENTRO Antonio Franchini

IL FUOCO CHE TI PORTI DENTRO, di Antonio Franchini (Marsilio – febbaio 2024)

È un fiume in piena che straborda, rompe continuamente gli argini, la figura di donna al centro di questo libro, che è, sorprendentemente, una appassionata, viscerale, dolorosa invettiva dell’autore contro la propria madre. Una tragedia raccontata nei toni della commedia e con le armi affilate dell’ironia.

Il ritratto di una donna che è una forza della natura, una madre fuori dagli schemi: debordante, eccessiva, rumorosa, sboccata, scorretta, ostile a tutto e a tutti, irresponsabile, rancorosa e indomita, incoerente e narcisista, aggressiva e incandescente, ignorante e bigotta, ringhiosa e maldicente .

Angela Izzo , questo il suo nome, è una autentica donna del Sud, col vanto di sentirsi “friccicariella” ma anche “sannita e sgherra”, che ha fatto della sua vita una crociata contro tutto e tutti, dovunque, a Napoli come a Milano, con una furia devastatrice in tutte le lotte che ingaggia. Testarda e determinata, vive ancorata ad un catalogo di massime logore che sono il suo Vangelo di vita , con “un bisogno estremo di odiare come di respirare, perché sente di non esistere se non si contrappone”:

“Io non voglio essere paragonata a nisciuno!”-

“Accussì m’ha ditt’ ‘a capa”

“Gli amici non esistono, le donne sono zoccole (con le varianti “puttane”, “camminanti”) ”e gli uomini figli di zoccola, l’unica cosa che conta è il tuo sangue, “’o sanghe”

“Io penso a razza mia”, che significa” del resto del mondo me ne fotto.

“La talpa” ,questo il nomignolo di Angela in famiglia, irriducibile nelle sue convinzioni anche dopo il trasferimento al Nord vicino a quel figlio disprezzato per la sua laurea in “Letterelle”.

Uno stillicidio di egoismo e diffidenza avvertito prima con estraneità e sospetto dal figlio, poi con estraneità e fastidio, quindi con estraneità e rabbia fino a nutrire un odio che accende e infiamma. Ma il sentimento più potente è quello della vergogna, da adolescente, che diventerà disprezzo intellettuale quando, diventerà autonomo.

“Mi ha dato un’educazione a rovescio: i valori ai quali si ispira o li esprime in una forma riprovevole o sono disvalori veri e propri”

Eppure, nonostante la sua carica respingente che si avverte già nell’incipit (“Benché da molti sia considerata una bella donna, mia madre puzza “), non si riesce a detestarla questa Erinni furiosa che, anche nella morte mantiene la sua unicità , “è lo spada sul banco della pescheria, puntando davanti a sé l’urlo silenzioso”[….]” lu pisci, il re dello Stretto, l’unico che protesta per l’ingiustizia della sua morte”.

Ma Il fuoco che ti porti dentro è anche l’affresco di un tempo, di una mentalità, di un modo di stare al mondo, di chi prova a disinnescare il senso di inferiorità del Sud rispetto al Nord con il suo rovesciamento, un sentimento che si fa lotta, rivendicazione o accettazione :

“All’inizio il Nord per me è un ascensore che entra direttamente dentro l’appartamento di mio zio all’ultimo piano, è una rosa di pane gonfia e vuota, una finestra che inquadra una pianta di cachi immersa nella neve, è un piatto di carne cruda e sottile che si chiama carpaccio, la mortadella che si chiama Bologna e l’hamburger svizzera, è la nebbia d’autunno attorno alle cascine e lo strato croccante di ghiaccio invernale sulle siepi, la luce di primavera sulle rogge. Il Nord è mio zio Francesco che mi ospita a casa sua, è sua moglie Elizabeth con i miei cugini, è un’altra famiglia e un modo diverso di stare al mondo.”

Ha avuto molto coraggio Franchini a raccontare il disamore con tanta sincerità in questo libro intenso, duro e doloroso, struggente, a tratti impietoso, terribile ma anche divertente, di una onestà e franchezza brucianti , dove dietro il disincanto, l’ ironia, la crudeltà nel raccontare la vita, le gesta, le follie e le fissazioni di una donna insopportabile, si cela l’amore .

Certo è che fa pensare questo rapporto malnato dove il figlio dichiara di odiare la madre ma arriva sfasciare una porta per non colpirla, e mantiene una certa indulgenza anche quando, meno esasperato, cerca di prenderne le distanze e di guardarla con gli occhi della mente:

” Nel voler essere personaggio Angela ha messo tutta la determinazione che altri mettono nel voler essere autori. Per essere personaggio ha forzato i toni, ha calcato la mano, ha esagerato abdicando a ogni delicatezza, pestando con strepito ogni passo sul palcoscenico della vita”.

Cosa pensare in conclusione? Io credo che alla fine Antonio, il figlio arrivato al successo che ha reso orgogliosa quella donna impossibile, l’ha amata quella madre “senza tenerezza, senza grazia, di rabbia e di furia”.

Quando lei, che odiava gli aerei, prende la funivia e dice “Antonio io con te prenderei pure l’aereo”, rivela un amore che se ne è stato nascosto e che si tinge, verso il finale, di malinconia: “Alla fine la tragedia di Angela è di “non essere stata capace di dimostrare l’amore”. “E forse – ammette lo scrittore – è anche la mia”.

Legami feroci, ma vivi . Un cammino impervio, distruttivo che però approda alla consapevolezza del figlio che “quella della madre era una forma d’amore sbagliata, ma in fondo tutti gli amori sono in qualche modo sbagliati”, nella nostra imperfetta, fragile condizione umana.

Un voto altissimo gli assegna Antonio D’Orrico ( che è pure citato): 10 e lode, arrivando a proclamarlo il libro dell’anno. Io di voti ne ho già dati troppi a scuola. Dico solo che questo, nel panorama letterario italiano piuttosto monocorde, si distingue per audacia e stile, con una scrittura carnale, viscerale, vigorosa, aspra perché aspro è il rapporto tra i due, frasi acide e scontrose, battute fulminanti che sfumano nella malinconia delle amare riflessioni finali.

Recensione di Mariapia Galluppi

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