IL GIOCO DELLA MOSCA, di Andrea Camilleri (Sellerio)
Quando “viaggio” con le letture, poi mi piace ritornate a “casa”.
Ultimamente sono stata a Barcellona e in India…
Con Camilleri ritorno alla mia terra che, per quanto sporca e mal gestita, è sempre quella che mi ha dato i natali.
Il libro, che contiene 54 espressioni dialettali generatrici di aneddoti, contiene altrettanti microepisodi, variamente tramandati di generazione in generazione, o, come dice Camilleri, da storie cellulari.
E, se alcune di queste micronarrazioni mi lasciano perplessa per la limitazione culturale che ne deriva, spesso, le stesse storie, mi fanno sorridere perché rivedo i miei nonni, le loro espressioni, il loro modo di gesticolare, sento l’eco della voce di mia madre e/o l’atteggiamento del vecchio di paese.
Sembra non essere cambiato nulla, come se il tempo si sia appropriato di questa terra perennemente in bianco e nero.
É un libriccino di “passaggio” che, attraverso quei detti intraducibili, evoca una storia fatta di superstizioni, silenzi e omertà.
Piccole storie che sottolineano quanto il passato sia ramificato e poco incline alla fioritura, perché la mia terra è una terra vecchia, fatta di vecchi e dove i giovani scappano o rimangono imbrigliati in quel provincialismo sottoculturale che li circoscrive e li “dimentica” nel limbo di una cultura accecata dai suoi stessi modi di essere e poco avvezza all’apertura cosmopolita.
“Il gioco della mosca”
Particolarmente significativa è la descrizione del “gioco della mosca”, inventato dai ragazzini di Porto Empedocle, tra i quali lo stesso Camilleri.
Nel periodo più caldo dell’anno, un gruppo di ragazzini si stendevano a cerchio e a pancia in giù sull’arenile mettendo davanti ai loro occhi una monetina di venti centesimi: da quel momento aspettavano che una mosca si posasse su una delle monete che era stata trattata, magari sputandoci sopra saliva zuccherata, in modo da attirarla. Il proprietario della moneta visitata dalla mosca era il vincitore e poteva prendersi tutto il resto del gruzzolo. Era vietato parlare, muoversi e persino leggere per far passare il tempo, perché il rumore delle pagine sfogliate avrebbe potuto far fuggire l’insetto. Si rimaneva ad aspettare per ore o anche per giorni: se la mosca non arrivava, infatti, il gioco veniva riproposto l’indomani. Anche se qualcuno aveva trovato il modo di barare…
Insomma quei ragazzini, senza saperlo, praticavano una specie di meditazione trascendentale alla quale Camilleri attribuisce un grande valore:
«…Sono fermamente persuaso che nel corso di questo gioco, durato anni, si sono decisi i nostri destini individuali: troppo tempo impegnavamo nella pura meditazione su noi stessi e il mondo. E così qualcuno divenne gangster, un altro ammiraglio, un terzo uomo politico. Per parte mia, a forza di raccontarmi storie vere o inventate in attesa della mosca, diventai regista e scrittore.» “
Recensione di Patrizia Zara
IL GIOCO DELLA MOSCA Andrea Camilleri
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