IL GIORNO DELLA LOCUSTA, di Nathanael West (Mattioli 1885)
Uno scenografo con velleità artistiche e dall’indole violenta, che maschera abilmente sotto una patina di pacata rispettabilità, un contabile fragile di salute e dalla psiche malferma che risulta uno dei tanti disperati che considerano la California un approdo per relitti, un’aspirante attrice dalla dubbia moralità, tanto cinica quanto antipatica, stringono un sodalizio umano sullo sfondo di Hollywood negli anni Trenta, quelli della Depressione più nera, quando sfondare nello spettacolo costituiva il miraggio di quasi ogni povero diavolo finito sul lastrico.
La Mecca del Cinema descritta da West è esattamente l’antitesi della fabbrica di sogni che siamo abituati a immaginare: l’autore la descrive come un degradato manicomio popolato di falliti, megalomani privi di qualsiasi fondamento morale, nutriti di illusioni che alimentano lo spietato meccanismo del successo, destinato a stritolarli e dove tutto, compreso il cibo, è finto e manca di sostanza.
Quello di West è un romanzo, duro e violento, nonostante la patina scintillante dell’ambientazione e la raffinatezza con cui è esposta la trama: vi si percepisce una tensione sottile, crudele che sfocerà nella celeberrima scena finale, quasi una prefigurazione dell’ondata di disperazione e violenza che stava per travolgere il mondo, di lì a poco (siamo vicini alla Seconda Guerra Mondiale) e che West, ironicamente, ambienta nel più dorato dei paradisi di cartone, emblema del tragico inganno su cui si fonda, in sostanza, il Sogno Americano .
Il giorno della locusta è un libro breve ma denso, nel quale molti sono i temi trattati, seppure non tutti con la stessa profondità, dal messaggio pessimista e dalla lucida carica satirica, esposto in una prosa elegante e impeccabile, cui rende giustizia una nuova traduzione italiana, che sostituisce quella datata di Carlo Fruttero.
Recensione di Valentina Leoni
Presente nella Rassegna dei libri più letti e commentati di Luglio 2020
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