IL LIBRO DEI NOMI PERDUTI Kristin Harmel

IL LIBRO DEI NOMI PERDUTI, di Kristin Harmel (Sperling & Kupfer – gennaio 2021)

 

 

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Recensione 1

Sulla scia dell’ultimo libro recensito L’ASILO DI AMSTERDAM, ho colto l’occasione per leggere un altro libro a tema Shoah, relativamente alla fascia di età che va dalla nascita fino alla prima adolescenza, proprio com’è questo: IL LIBRO DEI NOMI PERDUTI di KRISTIN HARMEL, che segue lo stesso filone del già citato libro di Elle Van Rijn. Ma se la prima è una storia vera e rigorosamente documentata, questo della Harmel è solo un’opera di fantasia, seppur dolorosa fantasia.

 

Nel 2005 l’ottantaseienne Eva Traube Abrams, bibliotecaria quasi in pensione, una mattina, leggendo il giornale si accorge che qualcuno, da Berlino, sta cercando il legittimo proprietario, per restituire le opere trafugate dai nazisti, durante l’occupazione e la seconda guerra mondiale.

 

È quello, per Eva, un libro molto speciale per un duplice motivo.

Il romanzo è costruito su due piani temporali: nel 2005, in Florida, dove risiede Eva; e nella Francia del 1942, quando Eva e la madre, solo per una banale coincidenza, scampano alla retata ebraica del quartiere, da cui però non riesce a sfuggire il padre.

Rifugiandosi al nord, precisamente ad Aurignon, in Bretagna, nel territorio non ancora occupato dai nazisti, Eva entra a far parte di una rete di falsari di documenti, grazie al suo talento artistico…

 

 

CONSIDERAZIONI PERSONALI

La lettura de IL LIBRO DEI NOMI PERDUTI è stata molto gradevole perché, nonostante la drammaticità degli eventi narrati, è scritto bene e in modo molto scorrevole, tanto che può essere letto tranquillamente sotto l’ombrellone.

Ho apprezzato molto la ricostruzione rigorosa delle vicende, che la Harmel ha saputo ricreare, grazie alle ricerche svolte sui falsari e sulle attività sommerse di resistenza, che vennero attivate dappertutto nei paesi occupati.

È per questo che consiglio questa lettura leggera, ma non certo banale.

Recensione di Lena Merlina

 

Recensione 2

Questo romanzo appartiene a quelle storie deliziose e delicate cosi come vengono presentate dalla copertina: colori caldi,  pennellate di pastello, sfumature da fiaba con sfondo da cartolina. Invitanti e buone come la frutta martorana (dolce di zucchero e mandorle della mia Sicilia).

Di solito passo avanti, diffidando da questa presentazione edulcorata e glicemica. Preferisco digerire storie forti psicologicamente più intense dalla scrittura originale e insolita da (pseudo?!)  intellettuale per intenderci.

Tuttavia, spesso mi lascio trascinare dal mio femmineo sentimentalismo e mi fa piacere perdermi in storie al limite del rosa principesco al fine di non  arrovellare troppo il cervello provato dal logorio della vita quotidiana e dai continui bla bla bla e blabla…

 

 

Mi accorgo, comunque,  che con l’avanzare dell’età e la consapevolezza di una vita che diventa sempre più illusoria che ho bisogno più spesso di affrontare storie leggere, ma non certo banali s’intende, e il desiderio di abbandonarmi al lieto fine senza che ci sia un domani, almeno nei libri e nei film
E così mi lascio tentare.
Il romanzo in questione, in verità, mi è stato regalato da una mia carissima amica il giorno del mio compleanno con la frase “Sono sicura che ti piacerà”.

Da ciò deduco che il mio romanticismo non è del tutto invisibile agli occhi di chi mi vuole bene, e che la mia bella corazza intellettuale, e non solo, ha sicuramente qualche falla.
E infatti mi è piaciuto cara amica. Mi è piaciuto veramente. Non ho pensato a nulla al di fuori di Eva e Remy. Mi sono lasciata trascinare nel passato e nel presente della loro storia.

E sebbene la vita di Eva, nata ebrea, si snoda in quel periodo efferato come può non essere l’Olocausto, in quella disumana tragedia di tanti innocenti colpevoli soltanto di essere vittime di un folle e dei suoi seguaci, la penna della Kristin Harmel addolcisce ogni spigolo, smussa ogni vertice, ripulisce il fango donandoci una storia d’amore, di coraggio e d’amicizia che neppure il tempo ha avuto la forza di scalfire.

 

 

La narrazione si svolge su due piani temporali: il presente viene raccontato in prima persona, il passato in terza persona. Tale diversità di tempi dona dinamicità alla storia i cui personaggi si muovono come in fotogrammi.
Non so se avete mai visto quei film su Netflix ispirate a storie vere. Ebbene il romanzo “Il libro dei nomi perduti” fa parte di questa categoria. Non è un capolavoro che rimarrà nella storia, ma sicuramente è una storia che rimarrà nei nostri cuori e ci farà, a noi inguaribili romantiche, inclini alle suggestioni del sentimento e della fantasia, dal carattere appassionato e malinconicamente sognante, versare qualche lacrimuccia che racchiude tutto il nostro personale dolore.

“La mia stanza è rivestita di libri, perlopiù impilati in maniera precaria su scaffali…Sono pieni delle storie di altre persone, in cui mi sono persa per tutta la vita. A volte nelle notti silenziose e buie,  quando sono sola, mi chiedo se sarei riuscita a sopravvivere se non avessi avuto modo di fuggire dalla realtà  immergendomi in quelle pagine”

Recensione di Patrizia Zara
IL LIBRO DEI NOMI PERDUTI Kristin Harmel

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