IL LIBRO DEL MESE: APEIROGON Colum McCann

IL LIBRO DEL MESE: APEIROGON, di Colum McCann (Feltrinelli)

Recensione 1

In geometria, l’apeirogon è un poligono con un numero infinito di lati, come sono infinite le parole per descrivere il lutto di un genitore che ha perso un figlio.

Questo romanzo, purtroppo di grande attualità in questo momento, racconta la storia di due padri, uno israeliano e l’altro palestinese, accomunati dal dolore più grande, quello della perdita di una figlia. Annientati dal dolore, ma non accecati dalla sete di vendetta, decidono di usare la potenza del loro dolore come arma contro l’ingiustizia di cui entrambi i popoli sono vittime e militano in un gruppo dal nome volutamente contraddittorio: Combattenti per la pace.

L’autore, irlandese naturalizzato americano, non si schiera, come non si schierano i due protagonisti. Assume un punto di vista quasi asettico, e descrive le condizioni di vita dei due popoli, in tutte le loro contraddizioni, in tutte le situazioni di violazione dei diritti più elementari, con lo stesso tono oggettivo con cui descrive il volo di varie specie di uccelli migratori, che sorvolano in totale libertà, come fosse una ciarliera autostrada, una terra piena di cartelli di divieto, barriere, muri, check point in grado di tenere in ostaggio persino un’ambulanza con il suo carico di sofferenza.

Attraverso le storie di Bassam e Rami scopriamo che per entrambi l’esistenza è sempre in bilico; per loro non c’è neppure la consolazione della banalità del quotidiano, perché in ogni piccola azione si annida la paura, il sospetto, il dubbio.

I capitoli si succedono come libere associazioni dell’autore: Rami, Assan, gli attentati che uccisero le loro figlie, annotazioni ornitologiche, Borges in visita alla cappella Sistina… E i singoli episodi vengono ripercorsi più volte, in una spirale che ad ogni giro si arricchisce di particolari.

Per questo non è un libro facile da leggere, anche se c’è tutto in questo intenso romanzo: il dolore reale delle persone, l’inerzia della politica, l’inutilità delle manifestazioni, l’impotenza degli attivisti militanti in gruppi misti, la confusione delle notizie e la mistificazione della verità, la storia antica e moderna di questa terra dai molti nomi.

E come i due protagonisti, anche noi non possiamo che restare sbalorditi dalla differenza che può fare un confine, una linea arbitraria, tracciata ora qui, ora là, tra “persone da entrambe le parti che vogliono uccidere gente che non conoscono” e pensare “Imagine there’s no country, it isn’t hard ti do, nothing to kill or die for, and no religion too”.

Recensione di Maria Teresa Petrone

Recensione 2

“ Abir aveva un viso dolce, tenero, scuro. Gli zigomi sporgenti. Gli occhi grandi con sfumature color prugna. Portava i capelli con la riga in mezzo e a volte li raccoglieva indietro in una coda. Le sopracciglia erano dritte e sottili. Indossava un sorriso che le dava l’aria di essere in balia di un dubbio permanente”
“ Smadar riempiva qualsiasi obiettivo fosse puntato verso di lei. Rivelava i modi di una ragazzina in pieno controllo di ciò che gli altri potevano vedere, i suoi occhi marroni sempre in movimento.. alimentati da una carica indagatrice.”
“ Non finirà se non parliamo” :
Tra reportage e romanzo, la storia vera di due padri che sono stati brutalmente privati delle loro adorate figlie. Rami Elhanan, israeliano, il 4 settembre 1997 ha visto morire la sua Smadar, di 13 anni, a causa di un attentato suicida a Gerusalemme; nel 2007 Bassam Haramin, palestinese, perde dopo una lunga agonia, Abir, di dieci anni, colpita alla testa dal proiettile di un soldato israeliano.
Per entrambi i due genitori, la discesa in una spirale di odio e di desiderio di vendetta implacabili, fino all’imprevisto incontro con la realtà di Parents circle, che riunisce padri e madri palestinesi e israeliani accomunati dal medesimo lutto, in un – apparentemente- impossibile, ma straordinario tentativo di ricucire, pur dentro al dolore straziante, i fili di relazioni umane andate disintegrate dopo la morte dei figli. Dentro questo incontro, la solida amicizia che porta Rami e Bassam a diventare indomiti testimoni della possibilità di un altro modo di vivere e di essere in relazione con l’altro, con l’uomo e la donna prima considerati, senza remissione, il “Nemico”.
In quell’Apeirogon – il poligono dall’infinito numero di lati dal quale il libro prende il titolo – che è la terra caleidoscopica e martoriata nella quale ciascuno di questi genitori si trova a vivere, si opera, coraggiosamente e faticosamente, perché non prevalga la logica devastante dell’odio e della vendetta, del sangue che richiama senza tregua altro sangue, in una spirale inarrestabile di atrocità che travolge, in un medesimo, estenuante, inferno, generazioni di innocenti.
Un seme, piccolo, ma presente. Una luce dentro le tenebre, che in questi giorni e in queste ore riavvolgono ancora, fittissime, la terra di Rami e Bassam. Che questo seme possa almeno non essere travolto.

Recensione di Cristina Ghezzi

Recensione 3

Apeirogon, il poligono con un numero infinito di lati, come infiniti sono gli aspetti che il libro affronta. La geografia per esempio. Si parte dagli uccelli della zona, dalle loro caratteristiche e dal loro volo per approdare al volo dei proiettili, per poi farci addentrare nel traffico impazzito del villaggio palestinese di Anata in Cisgiordania, nella corsa disperata verso l’ospedale con una bambina di dieci anni ferita da un proiettile alla testa tra checkpoint e rallentamenti. E poi dritti verso il centro affollato di Gerusalemme e un attentato suicida a seguito del quale una bambina di tredici anni perde la vita. Continua il viaggio immergendoci nelle acque del Giordano, di cui per primo volle tracciare una mappa dei confini un prete irlandese che perse la vita durante il viaggio. L’acqua e la sua mancanza, un dramma per i villaggi palestinesi. La geografia è tutto, dice più volte l’autore, anche perché rimanere o meno in vita può dipendere dalla posizione geografica in quel momento. Se tu non fossi uscita da scuola per comprare le caramelle, se tu non fossi andata in centro ma a casa di un’amica.

Il libro appare volutamente frammentario, con frammenti non cronologici. Se si legge con attenzione, si capisce perfettamente che ogni frammento risulta legato all’altro, anche se non sono contigui. È una scelta molto interessante, che tiene sempre viva l’attenzione del lettore e lo invita a trovare nessi tra le varie parti.

In questo periodo abbondano le recensioni su questo libro ma ci tenevo a dar il mio personale contributo evidenziando elementi non ancora messi in risalto. Certo si tratta di un libro che dovrebbero leggere tutti, perché invita a non vedere l’altro come un oggetto ma come un umano esattamente come te. Come diceva Kant, bisognerebbe sempre trattare l’umanità negli altri sempre come fine e mai come mezzo, ossia riconoscere a tutti la dignità di esseri umani

Recensione di Eleonora Benassi

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1 Comment

  1. Ho dovuto interrompere la lettura di questo libro (ne ho letto più della metà) perché mi ha generato un’angoscia e una rabbia difficili da sostenere. Ne voglio comunque parlare riservandomi di terminarlo in tempi migliori(?).
    L’Apeirogon del titolo è un poligono dal numero
    infinito di lati, così come sono infiniti gli elementi di scontro che esistono tra due popoli: il popolo palestinese e quello israeliano; e infinita è la violenza con cui ogni giorno i due popoli devono fare i conti emotivamente e fisicamente.
    La storia ruota intorno a due padri e alla perdita delle loro figlie, una colpita da un soldato israeliano e una morta in seguito ad un attacco terroristico operato da Hamas.
    Due tragedie che permettono a due uomini di superare il dolore e diventare amici.
    Scritto in forma molto particolare e del tutto nuova: è composto, difatti, da 1000 capitoli, che vanno da 500 ad 1 e poi da 1 a 500, quasi del tutto scollegati tra loro.
    Si legge come un saggio e come un romanzo.
    Troverò la forza di finirlo.
    Teresa Chi

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