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Un quartiere, il Giambellino.
Una città, Milano.
Un periodo storico ben preciso: 1952 – 1958.
Con queste poche coordinate Paolo Colombo racconta una storia nella Storia.
Un sogno così è il sogno di una coppia di giovani milanesi, i suoi genitori, che si intreccia con la Storia di un paese, il nostro bel paese, a pochi anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
E tutto ha inizio una mattina di aprile, quando Carlo, in sella alla sua Lambretta con il vento tra i capelli, inizia la sua epopea in una Milano con ancora ben visibili i segni della guerra.
“Questo per dire che tempi fossero quelli e come per lui e per tutti gli altri attorno ogni cosa potesse finire ancor prima di cominciare”
Palpabile tutta l’incertezza e la precarietà di un paese in piena ricostruzione ma con ancora vive le ferite di un conflitto mondiale, con sì tanta voglia di uscirne ma con la paura che l’orrore possa ritornare.
Eppure Carlo ci crede, Carlo crede nel futuro, la sua è una speranza concreta.
Muove i suoi passi con determinazione, sa di avere le potenzialità per dare forma al suo sogno.
E così al civico 142 di Via Giambellino apre il suo negozio di ferramenta.
Il primo passo verso la sua personale indipendenza e realizzazione.
Il primo passo per diventare grande e poter pensare a metter su famiglia, con Liliana.
Insieme a Carlo cambia un paese intero…perché in Un sogno così si racconta anche l’epopea della nostra Italia, le cose belle e quelle meno belle.
E allora mi sono trovata a leggere della nascita dell’autostrada del sole, dell’arrivo della prima 600, del primo grande supermercato, della rivoluzione della televisione, la RAI, Carosello, Mago Zurlì e il Festival della Canzone Italiana vinto nel 1958 da un esordiente che aveva provato a far cantare la sua canzone prima a Nilla Pizzi e poi a Claudio Villa, due mostri sacri del bel canto. Ma non gli è riuscito di convincerli e allora si è trovato costretto a cantarsela da solo la sua Nel blu dipinto di blu, dando vita alla parola “Cantautore” e stravolgendo completamente i clichés televisivi del tempo, arrivando fin oltre oceano con quel suo inno VOLAREEEE!
Ma non solo…”il futuro porta bene e porta male”, e il male è per esempio la tragedia di Marcinelle e quella del Polesine, la cementificazione incontrollata, l’incapacità e impossibilità di arginare tutto quello che in quel momento arrivava dall’estero, dall’America in particolare, uno specchietto per le allodole a cui non abbiamo saputo metter filtri e controllare.
Paolo Colombo è un professore di Storia Contemporanea e Storia delle Istituzioni Politiche in uno degli atenei più importanti di Milano ed è il fondatore di un laboratorio stabile di History telling, Storia e Narrazione. I suoi racconti riempiono palchi di teatri illustri, quali il Carcano e il Filodrammatici di Milano.
In questo libro intreccia la storia dei suoi genitori con la Storia del suo paese e la potenza di questo romanzo sta anche e soprattutto nella fluidità e scorrevolezza del testo: il passaggio del testimone tra il narratore e lo storico è impercettibile. E mi sono chiesta…quanto è importante il come raccontarla la grande Storia?
La narrativa è piena di libri come questo, ci sono altri Carlo e altre Liliane che hanno fatto i conti con la loro storia e la Storia con la S maiuscola, il segreto sta semplicemente nel saperla raccontare meglio.
“Liliana stava finendo a chiedersi, implicitamente ma forse davvero per la prima volta, se il tempo che aveva da vivere non fosse, più che una gabbia di percorsi obbligati, una serie di infiniti interrogativi aperti.
Perché noi siamo ciò che il nostro tempo ci chiede di essere. Niente è indifferente.
Noi siamo le risposte alle domande che ci vengono poste.”
Buona lettura!
P.S.: nel quartiere Giambellino sono nata anche io…
Recensione di Cristina Costa
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