IL MIO CANE DEL KLONDIKE Romana Petri
Recensione 1
Una donna lavora come insegnante precaria ed un giorno, trova per la strada un grosso cane abbandonato e morente. La decisione è presa all’istante, dove tutti hanno voltato lo sguardo lei non lo farà.
Inizia così la storia di Osac e della sua salvatrice. Lui però è un cane abbandonato e quelle ferite scalfite nelle anime pure possono diventare intolleranza, difficoltà di gestione ed un amore che non conosce limiti di proprietà, insomma Osac è un cane difficile e se associato ad una enorme taglia, il problema si triplica. Ho riso ed ho pianto durante la lettura, che sinceramente consiglio solo a chi nei cani non vede solo una coda che scodinzola, ma molto di più.
Mi sono ritrovata in tanti passaggi di questo libro perché di cani nella mia vita ce ne sono stati, trovati, e spesso problematici, come quella volta che entrando in un canile alla domanda “che tipologia di cane cerchi?” di getto risposi “Uno di quelli che non vuole nessuno” e così ne uscì con due che erano state accalappiate insieme e sarebbe stato come ferirle a morte se le avessi separate erano una la forza dell’altra…l’ultimo, questo della foto posso definirlo un piccolo Osac, abbandonato, ferito e in perpetuo terrore che l’abbandono possa ripetersi, quindi un rapporto viscerale con me ed un odio profondo per ogni cane che si avvicina, che mina il suo territorio.
Come la protagonista io ci parlo e da subito gli ho giurato che qualsiasi cosa accada, nulla mi porterà a decidere di allontanarmi da lui e lui mi risponde e mi ama incondizionatamente e questo mi ripaga delle limitazioni che spesso sopraggiungono. È proprio vero che per capire l’amore puro, basta guardare dritto negli occhi di un cane, chi vi dice che è solo un animale è evidente che tanta meraviglia, non la comprenderà mai lasciandosi sfuggire una immensa fortuna
Recensione di Silvia Upola
Recensione 2
In una giornata di settembre ancora umida e afosa, Romana, un’insegnante, trova, avviandosi verso la sua macchina, un enorme cane nero, ricoperto di ferite e di zecche. A casa possiede già una boxer femmina sopravvissuta al suo compagno, ma decide ugualmente di prenderlo con se.
È l’inizio di una convivenza burrascosa e appassionata, perché Osac Trofic, nome e cognome, non è un cane come gli altri. Ingombrante, selvatico, indisciplinato, privo di senso dello humor. Negli occhi, nei lamenti, nel temperamento, i segni dell’abbandono, che lo accompagneranno per sempre. Nasce, tra il cane e la sua salvatrice, un rapporto esclusivo e senza riserve accompagnato da un dialogo buffissimo solo a loro comprensibile. L’inaspettata gravidanza di Romana, è destinata a stravolgere questo equilibrio, con conseguenti scelte difficili e dolorose, ma necessarie.
La scrittrice, Romana Petri, racconta, in questo romanzo, una parte di sé e lo fa attraverso Osac (anagramma di caos), non il suo cane più amato, per sua stessa ammissione, ma certamente quello più vissuto. Parla dell’evoluzione della sua vita e delle sue priorità dopo la maternità, dando, in maniera delicata e commovente, il giusto peso e il giusto valore alle cose. Parla di Osac, del suo disperato bisogno d’amore, che trova e riversa nella sua padrona fino alla fine.
Per chi ama i cani e magari anche per chi non li ama.
Per chi li ha avuti e per chi li vorrebbe.
Per chi non sa resistere ad un peloso che ti guarda come solo i pelosi sanno fare.
Perché “si fa presto a dire un cane”.
Recensione di Chiara Castellucci
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