IL MULINO DEL PO, di Riccardo Bacchelli (Mondadori)
Recensione 1
è un romanzo “fiume” di circa 2000 pagine che danno vita ad una narrazione lentissima come lentissimo e impercettibile è il continuo fluire delle acque del fiume che attraversa placido la bassa pianura ma che comunque scorre e cambia anche se impercettibilmente, allo stesso modo procede la storia che gradatamente narra fatti e vicende che coinvolgono i protagonisti con cambiamenti lenti ma inesorabili. Insomma, il ritmo del racconto è in sintonia con quello del fiume, che scorre ora monotono, ora tumultuoso ora imprevedibile e qualche volta violento e capace di stravolgere il paesaggio e la vita delle persone. La descrizione di luoghi, situazioni, persone e vicende procede quindi con inesorabile lentezza fino alla catastrofe finale che tutto travolge. L’intento di Bacchelli non era quello di dare vita ad una saga familiare ma forse quello di offrire al lettore una spaccato, il quadro di un’epoca e di un ambiente poco noti attraverso una serie di storie, di vicende umane perché non andassero perdute.
Il romanzo spazia delle campagne napoleoniche, alla disfatta in Russia, dalle rivalità tra gli staterelli d’Italia risorgimentale, ai dazi, alle tasse…al contrabbando tra una sponda a l’altra del fiume. La trama è riconducibile a tre filoni: la prima parte racconta la storia di Lazzaro scampato alla disfatta napoleonica in Russia, della sua famigliola, del suo lavoro di mugnaio, della sue fortune; la seconda racconta la vita del figlio che, ignorando gli insegnanti paterni, rincorre il facile successo e si impelaga in traffici loschi, fino a perdere tutto, gli affetti e la ragione; l’ultima parte conosce il disperato tentavo di Cecilia di resistere alla tragedia e di evitare il disastro finale…
Recensione di Patrizia Franchina
Recensione 2
A finirlo ci ho messo un bel po’. È un libro di quelli che ti mettono alla prova, e si svelano con gran cura, premiando la perseveranza di chi non si arrende e continua a leggere.
Scritto in una lingua inizialmente fin troppo ottocentesca – si fatica a credere che sia un’opera risalente agli anni tra il 1938 ed il 1940 – è un interessantissimo resoconto dei fatti politici e rivoluzionari che vennero vissuti nelle zone ferraresi, a cavallo tra lo stato pontificio di cui facevano parte, l’impero asburgico che ne rivestiva un ruolo di protettore interessato, ed infine il Regno d’Italia, dopo l’Unità.
Il libro inizialmente lascia un senso di incertezza, oscillando quasi equamente tra il capolavoro del romanzo storico e il popolare di quello d’appendice, con punte di grandissimo interesse sia per la viva restituzione dei personaggi sia per l’acume dell’analisi storico politica applicata ad una regione storica allora “di confine”.
È questa dell’analisi minuta dei sommovimenti che hanno portato ai grandi eventi uno degli aspetti più ricchi del libro.
Un trattato di storia esaminata negli elementi embrionali, anziché nei fatti già maturi, è la caratteristica che impreziosisce ed al contempo appesantisce il romanzo, il quale beneficia più la lettura dello storico che lo svago del lettore di narrativa.
Il racconto inizia riecheggiando appunto il romanzo d’appendice che ha paradigma nel Conte di Montecristo, ove i personaggi e gli eventi dumasiani sono, salvo qualche variazione di fondo, strutturalmente riportati in questo testo (la fortuna, di discutibile origine, piovuta misteriosamente in grembo a Lazzaro Scacerni, capostipite di una saga che vede protagonisti il figlio ed il nipote, è qui custodita da un banchiere e non sepolta in un’isola brulla).
Per fortuna, dopo un inizio così riecheggiante il feuilleton, forse scelto a bella posta per conquistare i lettori, il libro cambia tono, diventa istrionico e pare che si passi da Dumas a Manzoni o Hugo.
Proprio la lingua rende pesanti e difficoltose le prime centinaia di pagine del poderoso tomo (ho acquistato l’edizione più economica disponibile, in unico volume, piuttosto che quella tripartita) che, come sopra ricordavo, è denso di grandi descrizioni e analisi, e di notevoli spiegazioni storiche, anche sorprendentemente microstoriche.
Procedendo nella lettura, sembra che l’autore sia stato capace di ammodernare l’uso della lingua, come se avesse scritto le varie parti del libro con uno stile via via molto prossimo a quello del periodo storico che andava descrivendo.
L’ultimo centinaio di pagine è molto commovente, e riscatta il cinismo antipatico di certi personaggi che ne costituiscono la spina dorsale nella parte centrale. Circa 1200 pagine fitte, però, forse fanno pesare un po’ troppo la fatica della lettura rispetto al suo piacere
Recensione di Oscar Trezza
IL MULINO DEL PO Riccardo Bacchelli
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