Il padre del noir mediterraneo: Jan CLaude-Izzo e la Trilogia Marsigliese
Casino totale – Chourmo – Solea (La Trilogia Marsigliese), di Jean-Claude Izzo (E/O)
“Vedi, Pérol, ogni tanto,la sera, dovremmo farci dei giri insieme. Per non perdere di vista la realtà. Capisci? La si perde di vista facilmente, e badabum, non si sa più dove si è lasciata l’anima. Nel reparto amici. Nel reparto donne. Lato cortile, lato cucina. Nella scatola delle scarpe. Il tempo di girarsi, e ti sei perso nel cassetto in basso, quello degli attrezzi”
Marsiglia, anni 90. Fabio Montale è un poliziotto. Ma non è un poliziotto come gli altri; non è un uomo come gli altri, e Marsiglia non è una città come le altre:
“Marsiglia non è una città per turisti. Non c’è niente da vedere. La sua bellezza non si fotografa. Si condivide. Qui, bisogna schierarsi. Appassionarsi. Essere per, essere contro. Essere, violentemente. Solo allora, ciò che c’è da vedere si lascia vedere. E allora è troppo tardi, si è già in pieno dramma. Un dramma antico dove l’eroe è la morte. A Marsiglia, anche per perdere bisogna sapersi battere”
Il compito di Montale è quello di mantenere l’ordine nelle citès, i quartieri popolari della città abitati da piccoli criminali e immigrati di varia provenienza. Insomma, Marsiglia è nel vero senso del termine un “porto di mare”, un caleidoscopio di culture, un incontro di mescolanze umane da sempre, ma oggi l’esigenza di controllare questa libera aggregazione è sempre più pressante.
Qualcuno deve occuparsene, e chi lo fa non ha certo prospettive di una carriera sfolgorante. In più, se come Montale lo fai da “educatore” diventi lo zimbello dei colleghi e una scocciatura per i superiori. Ma Montale lo fa, lo fa a suo modo e sa bene cosa sta facendo: è figlio di immigrati italiani, ed è cresciuto insieme ai suoi fraterni amici Ugo e Manu, anche loro figli di immigrati.
“Andai a sedermi sulla terrazza, vicino a un tavolo di arabi.
– Ma siamo francesi, idiota. Siamo nati qui. Io, l’Algeria, neppure la conosco.
– Francese, tu? Siamo i meno francesi di tutti i francesi. Ecco cosa siamo.
– Se i francesi non ti vogliono, che fai? Aspetti che ti sparino? Io me ne vado.
– Ah, sì? E dove vai, idiota, eh? Smettila di vaneggiare.
– Io, me ne frego. Sono marsigliese. Voglio rimanere qui. Punto. E se mi cercano mi troveranno.
Erano di Marsiglia. Più marsigliesi che arabi. Con la stessa convinzione dei nostri genitori. Come lo eravamo noi, Ugo, Manu e io a quindici anni. Un giorno, Ugo aveva chiesto – A casa mia e da Fabio, si parla napoletano. Da te, si parla spagnolo. A scuola, impariamo il francese. Ma, in fondo, cosa siamo?
– Arabi – aveva risposto Manu. Eravamo scoppiati a ridere. Ed eccoli lì. A rivivere la nostra miseria. Nelle case dei nostri genitori. A scambiare il poco che avevano per il paradiso e a pregare che durasse. Mio padre mi aveva detto – Non dimenticarlo. Quando arrivammo qui, con i miei fratelli, non sapevamo se, a pranzo, avremmo avuto da mangiare, e poi si mangiava comunque.
Questa era la storia di Marsiglia. La sua eternità. Un’utopia. L’unica utopia del mondo. Un luogo dove chiunque, di qualsiasi colore, poteva scendere da una barca o da un treno, con la valigia in mano, senza un soldo in tasca, e mescolarsi al flusso degli altri. Una città dove, appena posato il piede a terra, quella persona poteva dire – Ci sono. È casa mia.
Marsiglia appartiene a chi ci vive”
Non solo. I tre, insieme, hanno anche intrapreso la strada della criminalità. Fabio la ha presto abbandonata, ed è passato dall’altra parte della barricata. Ugo e Manu invece… dopo poche pagine Ugo e Manu sono morti.
Tranquilli, nessuno spoiler: quelle morti sono il punto di partenza, quasi il presupposto, non solo della trama ma soprattutto del modo di essere e di vivere di Montale.
Fabio Montale è un uomo disilluso, disincantato, malinconico. È un uomo disgustato da quella “vita che puzza di morte”, la morte che vede dovunque intorno a sé. Disgustato anche da quello che sta stravolgendo la città che lui ama così visceralmente: una criminalità dalle nuances sempre più aziendal-finanziarie, una politica lercia, il razzismo sempre più violento, il Fronte Nazionale come perfetta summa di tutti questi flagelli che ammorbano Marsiglia, il mondo intero, e la vita di un semplice poliziotto italo-francese.
“Centinaia di cadaveri di sconosciuti. E poi gli altri. Quelli che amavo. Manu, Ugo. E Guitou, così giovane. E Leila. Leila, meravigliosamente bella. Non ero riuscito a impedire la loro morte. Sempre troppo tardi, Montale. Sempre in ritardo sulla morte. E sempre in ritardo sulla vita. Sull’amicizia. Sull’amore. Fuori tempo, perso. Sempre”
In mezzo a tutto questo marciume, spicca la fortissima – esasperata – umanità di Montale, un uomo che vive con “i sentimenti a fior di pelle”. E quindi soffre, “perché l’abitudine alla vita non è una vera ragione per vivere. La voglia di vomitare me lo ricordava ogni mattina”.
Allora le ragioni per vivere le cerca in una umanità “comune”, che si nutre di ciò che fa la vita di un uomo comune: gli amori, le amicizie, la musica, i libri, il pastis, il vino, la buona cucina, il mare, il cielo, la luce sulla città. E la sua barca-rifugio, da cui pescare e vedere l’alba sulla sua città così cambiata, così violenta, così corrotta.
Non basta, ma è un buon riparo nei momenti peggiori.
Un’atmosfera fosca, ma così attraente che è difficile staccarsi dalle pagine. Anche grazie alla scrittura di Izzo: ritmo narrativo sostenuto, frasi brevi e incisive, le sue parole sono una sorta di sassaiola che ti colpisce mentre leggi. Addolcita solo dalle tantissime citazioni musicali e letterarie (Solea è una canzone di Miles Davis, a proposito).
Ma quello che più di ogni cosa ti intrappola come carta moschicida sono le note “plurisensoriali” della sua scrittura: dalle pagine emergono suoni, colori, odori, sapori, che si impastano con l’aria afosa e salmastra del porto. E sono talmente reali, intensi, “densi” che, poggiato il libro, potresti essere appena rientrato da una passeggiata tra i vicoli di Marsiglia e hai una gran voglia di una bella spigola con i finocchi accompagnata dall’anice di un pastis, mentre ascolti del jazz.
Dicono che Izzo sia il padre del “noir mediterraneo”. Sì, forse. Ma io credo che il noir sia noir a tutte le latitudini: per me il noir è un tunnel buio e soffocante, senza nessuna luce in fondo, un posto in cui perdi ogni speranza e però continui ad amare la vita, ostinatamente, istintivamente e profondamente.
Questa è una trilogia noir, e Izzo è un grandissimo autore di noir. Gli altri aggettivi, per me, sono superflui. Nella Trilogia Marsigliese guardi negli occhi il Male e però
“… di fronte al mare la felicità è un’idea semplice”
Recensione di Silvia Pentothal Guido
Il padre del noir mediterraneo: Jan CLaude-Izzo e la Trilogia Marsigliese
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