IL PASSAPAROLA DEI LIBRI intervista Piergiorgio Pulixi

IL PASSAPAROLA DEI LIBRI intervista Piergiorgio Pulixi

 

Piergiorgio Pulixi è uno degli scrittori italiani più letti e amati degli ultimi anni: autore di romanzi, racconti e articoli è considerato uno dei maestri del giallo e del mistery contemporaneo e da poco ha iniziato a esplorare il mondo della narrativa destinata ai lettori più giovani.

Grazie al festival Ventimilarighesottoimari In Giallo, che si svolge ogni anno a Senigallia, la nostra redazione è riuscita a incontrarlo e a intervistarlo, in una lunga conversazione nella quale lo scrittore ci ha parlato del suo lavoro e del futuro del genere giallo, ancora oggi il più amato dai lettori nostrani.

 

Piergiorgio Pulixi

 

Il giallo è un genere letterario che potremmo definire “classico” ma ancora molto amato dai lettori: qual è il segreto di tanta popolarità, secondo lei?

 

Penso che sia complesso ridurre il tutto a un singolo elemento. Tanti ci hanno provato, ma nessuno ci è mai riuscito. Credo che si tratti di una molteplicità di fattori che, sommati tra loro, ne decretano il successo planetario. Senza voler offendere nessuno con questa definizione, bisogna di sicuro dire che il romanzo giallo d’impostazione classica, la mistery novel per essere più precisi, è un tipo di lettura “attiva” e “proattiva”. La natura stessa del genere porta il lettore a immaginare scenari, produrre ipotesi, anticipare i ragionamenti dell’investigatore/trice di carta e in qualche modo si potrebbe parlare di un lettore “detective”, che è quindi parte in causa dell’indagine alla base del romanzo. Questo regala un’immersione molto profonda nella storia. Sollecitato dal mistero che fa da perno al romanzo, il lettore formula teorie, e vuol andare fino in fondo al libro, più velocemente possibile, per vedere se ci ha azzeccato nell’individuazione del colpevole o se la scrittrice/ore sono stati tanto abili da depistarlo e farlo cadere in un vicolo cieco grazie a una sapiente rete di false piste. Questo ruolo così attivo del lettore secondo me gioca un ruolo fondamentale nel successo di questo genere che è crossmediale: hanno successo i romanzi gialli, così come le serie-tv, i film, i videogiochi, i fumetti e i giochi di ruolo di questo genere.

 

 

L’elemento “giallo” è presente nelle trame di successo non solo dei romanzi, ma anche delle serie televisive più popolari: c’è il rischio di una sovraesposizione o  l’evoluzione del genere garantirà comunque e sempre  il favore del pubblico a questo tipo di storie?

È un’ottima domanda, ma mi verrebbe da dire che è presto per dirlo. Si tende a sottovalutarlo, però questo è un genere abbastanza giovane rispetto alla letteratura tradizionale, solitamente chiamata “bianca”.  I delitti della rue Morgue, il racconto del 1845 di Edgar Allan Poe viene visto da alcuni come il primo esempio di canone letterario poliziesco; altri critici individuano in La pietra di luna di Wilkie Collins, del 1868, il primo vero romanzo poliziesco. Quindi, dell’una o dell’altra, è un genere che porta (molto bene) sulle spalle 177 o 154 anni. Un giovinetto, rispetto alla letteratura classica. Quindi non saprei dire se in futuro la sovraproduzione porterà a una netta contrazione di questa offerta di letteratura (un po’ come avvenuto con il romanzo d’avventura, di cui in parte il romanzo giallo è diventato una sorta di erede) o se le autrici e gli autori riusciranno a trovare il modo di instillare originalità, verve e freschezza in un genere molto schematico, declinato appunto non solo sui libri, ma sugli schermi e sulle applicazioni per cellulari.  Io sento che è un genere che ha ancora molto da dire, soprattutto se alla classica detective story si accompagna un’introspezione psicologica dei personaggi; perché alla fine, il vero mistero, siamo sempre noi: il nostro cuore, la nostra anima… Migliaia di gialli non sono riusciti ancora a denudarci fino al nostro nucleo più essenziale. Quindi confido che serviranno ancora parecchi anni prima di raschiare il fondo del barile.

 

 

Esistono, secondo lei, uno o più elementi che contraddistinguono la produzione narrativa del genere in ambito italiano al punto da rendere il “giallo italiano” immediatamente distinguibile anche nel panorama internazionale?

Penso proprio di sì. Una “nostra” prerogativa molto interessante e specifica, che caratterizza la nostra letteratura poliziesca, è l’attenzione verso il territorio, in modo particolare verso la provincia. I nostri gialli più riusciti sono spesso anche degli spaccati sociali, territoriali, che evidenziano punti di forza o storture di alcune città o paesi. Potremmo tranquillamente mappare il nostro Paese attraverso i vari detective di carta che lo popolano, da Nord a Sud. E questo, a mio avviso, è un bene. Significa che i lettori hanno il desiderio di conoscere non soltanto il proprio territorio ma pure luoghi da lui o da lei sconosciuti, lontani, che scoprono per la prima volta attraverso questo genere, e di cui magari viene loro la voglia di farci un salto non soltanto con l’immaginazione. E la maggior parte delle volte, gli scrittori raccontano il territorio a tutto tondo, dalla gastronomia alle radici culturali, instillando vita nell’ambientazione e non sfruttandola in maniera superficiale manco fosse una neutra quinta teatrale. L’investigatore – per la natura del suo mestiere – è portato a fare tante domande e a interrogare molteplici persone: per farlo, si sposta; e spostandosi esplora la città o il luogo dove opera, raccontandolo, analizzandolo. Questo fa sì che l’ambientazione assurga quasi a un comprimario dell’indagine. Nel catturare questo genius loci dei territori devo dire che noi italiani siamo diventati piuttosto bravi. Un’altra caratteristica che ci distingue dai colleghi stranieri è lo scrivere (alcuni, ovviamente, non tutti) una variante del giallo che è la commedia poliziesca: un giallo leggero, poco violento e non disturbante, dove l’indagine poliziesca viene condita e speziata con dosi massicce di ironia e leggerezza. Camilleri, Malvaldi, Manzini, Recami, (molti autori della scuderia Sellerio), De Giovanni, Genisi, Basso, Oggero e tante e tanti altri sono dei maestri nel generare questo complesso equilibrio molto amato dai lettori italiani. 

 

 

Di recente lei ha pubblicato un romanzo indirizzato ai lettori più giovani: che sfida rappresenta, per un romanziere, scrivere per un pubblico così particolare come quello di lettori che stanno muovendo i loro primi passi nel meraviglioso mondo dei libri e della lettura?

Più che una sfida, l’ho vissuta quasi come un obbligo morale: non c’è premio più grande per una scrittrice o per uno scrittore che far innamorare un bambino o una bambina alla lettura. È qualcosa di magico, di miracoloso. Ma è anche un dovere. Tutti noi che amiamo i libri, non siamo nati muniti di questa devozione verso le storie; c’è stato un libro, un film o un fumetto che ci ha fatto appassionare, facendoci capire che non ci bastava, che ne volevamo ancora e ancora… Ma tutto è partito da una singola storia. Quindi trovo che sia naturale, per chi scrive, impegnarsi per passare il testimone, per “generare” nuovi lettori e nuove lettrici. Farlo non è per niente semplice, soprattutto in questo contesto ipertecnologico, dove siamo letteralmente circondati e impregnati di storie in tutte le forme.  Eppure, credo che le storie di carta abbiano ancora una magia particolare. Ho deciso di scrivere per un pubblico più giovane per cercare di diffondere una manciata di questa magia.  Ripeto: anche se ci fossi riuscito soltanto con un bambino o una bambina, per me sarebbe comunque un grande successo e un privilegio.

 

 

 

Oggi, il ruolo delle reti sociali come Facebook o Instagram è un dato di fatto impossibile da ignorare, eppure in molti faticano ancora a  legittimarlo in campi come quello dei libri e della lettura: secondo lei lettura e reti sociali possono convivere in modo sinergico o è fatale che si escludano a vicenda?

Trovo miope e anacronistico il pensiero di chi vede questi mondi inconciliabili. A mio avviso è tutto il contrario: i social potrebbero diffondere in maniera più veloce, spontanea e disinteressata le buone storie e i buoni libri, creando attorno a loro una comunità coesa, che agisce spinta soltanto dal desiderio di condividere una passione. È sotto gli occhi di tutti. È vero: si tratta di un linguaggio giovane, moderno, in continua evoluzione e pertanto a volte è difficile da padroneggiare al meglio, ma di contro permette di intercettare un pubblico altrettanto giovane, che diversamente non riusciremo a coinvolgere. Basti prendere come esempio il fenomeno di “BookTok”. È stata una vera rivoluzione, che ha avuto un forte impatto anche sulle case editrici, sulle librerie e ha avvicinato tantissimi giovani alla lettura. Io credo che questo sia stato soltanto il primo segnale di quanto i social in futuro potranno sostenere il mondo della letteratura (e quindi dell’editoria). Alcune rivoluzioni vanno oggettivamente favorite. E questa è di sicuro una da sostenere con forza.

 

Grazie per la gentile disponibilità

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