IL PETTIROSSO, di Jo Nesbø
Secondo romanzo che leggo di Nesbø, che conferma un livello di qualità molto elevato pur essendo meno convincente di Scarafaggi. In questo libro l’ispettore Harry Hole se la deve vedere con un reato non ancora commesso il cui movente ha radici negli anni della seconda guerra mondiale.
Con un piede nel passato e uno nel futuro, Harry deve districare il complesso caso nel presente, basandosi su sospetti, intuizioni e istinto. Nonostante il caso sia per forza di cose “fumoso”, la trama è comunque fortemente credibile grazie alla meticolosità maniacale che l’autore dedica all’indagine e ai suoi meccanismi.
La trama: Harry è stato promosso e nel corso del suo lavoro si imbatte nella compravendita di un fucile Marklin. Si tratta di un’arma rarissima e molto costosa, ad alta precisione e davvero micidiale, entrata di contrabbando in Norvegia qualche mese prima. Harry si rende conto che la presenza di un Marklin a Oslo non va sottovalutata e teme un attentato da lì a qualche settimana. L’ispettore cerca di seguire le tracce del fucile a ritroso, sperando di poter identificare il possibile attentatore e porre fine a qualunque suo piano. Le sue indagini lo portano ad approfondire le dinamiche degli ambienti nazisti ma il Marklin inizia a mietere le prime inaspettate vittime.
Il pettirosso è un romanzo piuttosto corposo in termini di contenuti, e l’ho trovato complesso. La mia ignoranza sul ruolo della Norvegia nella seconda guerra mondiale e la mia pigrizia nel cercare risposte fuori dal romanzo hanno reso la lettura sicuramente meno agevole. A rallentare ulteriormente la comprensione ci si mettono i nomi norvegesi dei personaggi, che non sono in grado di pronunciare e tantomeno di memorizzare. Appartengo a quella schiera di lettori che, quando incontra una parola incomprensibile, non la legge ma la guarda soltanto, trasformando la parola in un’immagine e l’immagine in un concetto. “Trucchetto”, questo, funzionale in romanzi in cui parole straniere complesse sono 2 o massimo 3, ma poco efficace ne Il pettirosso dove i nomi di alcuni personaggi si somigliano troppo per trasformarli in un’immagine e dove comunque la numerosità di queste parole è eccessiva.
Chiaramente è un mio limite che nulla ha a che vedere con l’indiscutibile qualità del romanzo. Nesbø, in questo romanzo, mi ha omaggiata di una love story, cosa gradita in termini assoluti ma un po’ meno in termini relativi visto l’eccessivo legame tra la nuova fiamma e il caso del Marklin. Lo stesso Nesbø si schernisce da solo nel corso del libro dichiarando attraverso la bocca di Hole che tante coincidenze in un caso del genere sarebbero poco credibili anche in un romanzo.
Sono in parte d’accordo, sebbene le indagini siano descritte e svolte con una tale attenzione ai dettagli da rendere qualche deus ex machina assolutamente accettabile. E’ quindi il talento dell’autore a porre rimedio a qualche mancanza nella trama. Lo stesso romanzo scritto da mano meno avvezza sarebbe potuto diventare una mezza ciofeca. E d’altra parte c’è può e chi non può. Nesbø può, facciamocene una ragione. Anche l’epilogo non è esattamente all’altezza delle mie aspettative, non tanto per lo svolgimento in sé quanto proprio per l’estrema rarità relativa al colpevole. Fucile rarissimo, colpevole rarissimo, coincidenze rarissime che s’intrecciano con la love story di Hole… ingredienti discutibili che creano comunque un romanzo eccellente.
Come faccia Nesbø a trasformare dei deus ex machina in un’indagine credibilissima lo sa solo lui. Segnalo inoltre che il vizio dell’autore di ammazzare personaggi adorabili non è venuta meno nemmeno in questo libro. Il mio cuore si è spezzato al capitolo 50. Senza ombra di dubbio ho anche io la mia nuova love story: Harry Hole mi ha conquistata senza nemmeno un corteggiamento serio, e appena avrò terminato La svastica sul sole mi procurerò Nemesi.
Recensione di Giulia Baroni
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