IL PRIMO GIORNO DELLA MIA VITA, di Paolo Genovese (Einaudi)
Napoleon ha quarantanove anni e non sa più sorridere.
È un uomo di successo, è un “motivatore”.
Ma non sa più sorridere.
I teatri sono gremiti, la gente paga seicento dollari per ascoltarlo ed essere salvata da lui.
Ma non sa più sorridere.
Napoleon sta scavalcando il Manhattan Bridge. Sì, quello che compare nel poster di “C’era una volta in America”.
Supera le balaustre, si siede. La pioggia gli sferza il viso, i piedi penzolano nel vuoto e lo sguardo è rivolto alla Statua della libertà e ai grattacieli. Non ha smarrito solo il sorriso, non vuole proprio più vivere.
Napoleon sta per suicidarsi, ma…
– È alto, eh? Non sempre si muore. Dipende dall’impatto. Se arrivi di taglio rischi di sopravvivere.
È un uomo che ha parlato, comparso dal nulla. Prima non c’era, ma adesso si trova a pochi centimetri da lui. Ma è reale o è frutto della sua immaginazione? Cosa vuole? Perché non se ne va e lo lascia morire in santa pace?
L’uomo, invece, resta e gli offre una opportunità: per sette giorni Napoleon avrà la possibilità di osservare come è proseguita la vita dopo il suo gesto estremo, dopodiché sarà riportato indietro. Lì, sopra quello stesso ponte. Libero di scegliere di nuovo se vivere o morire. Non ci saranno altri appelli.
Napoleon non sarà da solo ad affrontare questo incredibile viaggio a bordo di una station wagon, con l’uomo senza nome al volante. Altre anime disperate come lui dovranno combattere i lori demoni, i loro lutti, i loro buchi nello stomaco. Aretha, una poliziotta che ha perso la figlia adolescente troppo presto. Emily, ex ginnastica costretta sulla sedia a rotelle. Daniel, piccolo divo della pubblicità, bullizzato dai compagni e sfruttato dai genitori. Quattro suicidi.
Formeranno una famiglia in quei sette giorni.
Ma cosa saranno dopo?
Accompagnati dalle note, tra gli altri, di Cat Stevens, Bruce Springsteen, George Benson, Jackson 5, Queen, il romanzo diventa una favola agrodolce, che non sfocia mai nella cupezza e lascia lo spazio necessario per le riflessioni sul senso della vita e per quelle domande che resteranno sempre senza risposta.
«Il mondo è un luogo estenuante. Sei stanco semplicemente perché ci vivi. Sei stanco di non riuscire ad amare abbastanza, di non dare abbastanza, di non avere abbastanza. La lettera di addio non dovrebbe scriverla chi se ne va, ma chi resta: loro dovrebbero darci delle spiegazioni».
Recensione di Chiara Castellucci
IL PRIMO GIORNO DELLA MIA VITA Paolo Genovese
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