IL RACCONTO DEL BARISTA – L’ULTIMA CORRIERA PER LA SAGGEZZA – LA STAGIONE FISCHIETTANTE, di Ivan Doig (Nutrimenti – marzo 2022)
Chiusa l’ultima pagina del “Il racconto del barista”, mi sento ancora impregnato della sua magia da racconto di frontiera, dei suoi dialoghi brillanti, pirotecnici, delle sue inquadrature in cinemascope, dei suoi tempi lunghi.
Mi siedo su uno sgabello da bar e vengo trascinato giù, al cuore di questa storia, di questo moderno romanzo di formazione, con calma, con pazienza, con curiosità, come quando si viene travolti da un fiume di parole e se ne assecondi l’andare.
Elogio della lentezza, dell’ascolto paziente, dell’arte del racconto. Un libro che mi ha segnato dalla prima all’ultima, meravigliosa, pagina, quando Rusty (voce narrante, dodicenne figlio del barista nel momento in cui si svolge la storia) ormai adulto, diventato attore, racconta di aver lasciato il ruolo da protagonista di uno spettacolo e di aver preferito il ruolo del barista: “[…]versa da bere ai sognatori perduti, continuando in eterno a pulire il bar, mente ascolta le loro storie, non smettendo mai di ascoltare, e sì, alla fine ha anche lui un racconto. È la parte che aspettavo di recitare da una vita. Dopotutto, conosco il personaggio a memoria”.
La scintilla mi scatta circa un paio di anni fa, sempre grazie a quella meravigliosa antologia che è “Americana” di Luca Briasco (Minimum Fax). Il piccolo Rusty passa il suo tempo nel retrobottega del bar. Da un condotto di ventilazione posto sopra la sua testa, arrivano le voci e le storie dei clienti seduti al bancone del bar. “Lo so, lo so” dichiara Rusty, “il barista che ascolta i clienti è uno stereotipo, probabilmente fin dai tempi di Chaucer. Ma papà assolveva quel ruolo in modo così completo, durante gli anni che trascorsi dietro il condotto di ventilazione da spettatore appassionato e al tempo stesso segreto, che il Medicine Lodge fungeva da deposito del folklore della città più o meno come il retrobottega in cui si ammassavano tutti quegli oggetti dati in pegno”. Se è vero che tutti, prima o poi, hanno una storia da raccontare, lo straccio di Tom Harry, sfregando “il bancone di fronte al cliente fino a farlo diventare lucido, pareva voler lasciare quel tratto di legno sgombro proprio per quell’opportunità”.
Con ancora nelle orecchie le immagini e negli occhi le parole di quella meraviglia che è “Il racconto del barista”, tempo dopo ritrovo finalmente Ivan Doig ne “L’ultima corriera per la saggezza”.
Con in tasca una punta di freccia precolombiana come portafortuna e un libro delle dediche, appoggiato sulle gambe, da riempire pagina dopo pagina, mi siedo comodo e ascolto le avventure del piccolo Donal durante l’estate del 1951, quando tutto solo intraprende il lungo viaggio che gli cambierà la vita, dal Montana verso est, nel lontano Wisconsin.
È ancora una volta l’arte del racconto, un lento susseguirsi di incontri, di facce, di voci, a rapirmi.
Il viaggio è lungo, il libro è voluminoso, ma va benissimo così. Il tempo sembra scorrere in modo diverso quando Doig racconta.
È come avere la sensazione di essere seduto accanto a questo gigantesco scrittore, alla sua barba bianca e al suo cappello. Non resta che lasciarsi andare e farsi portare per mano, perché, come dice il piccolo Donal, “cos’è l’immaginazione se non una birbanteria della mente, e perché un ragazzino, in special modo un ragazzino che si ritrova a viaggiare da solo, non dovrebbe, anche solo per proteggersi, lasciarsi prendere la mano dalle invenzioni prima che la maturità giunga a fargli mettere la testa a posto?”.
Parole parole parole. Sempre la parola al centro del racconto. Se nei primi due romanzi la testimonianza orale (“Il racconto del barista”), poi la parola scritta, la firma con dedica sul quadernone durante un infinito viaggio (“L’ultima corriera per la saggezza“) avevano avuto un ruolo di primo piano nella crescita del protagonista, ne “La stagione fischiettante” è la natura stessa della parola, la ricerca di una radice, di una etimologia, la sete di conoscenza, l’incantesimo dell’insegnamento.
Fra comete luminescenti, gare di spelling e concerti di armoniche nella brezza di primavera, il misterioso Morrie Morgan, insegnante quasi per caso, saprà infondere ben più di una scintilla nel giovane Paul.
“Perché ricordiamo?”, si domanda Paul adulto. Perché alcuni ricordi lasciano in noi tracce indelebili mentre altri cadono nell’inesorabile vuoto del tempo?
“La luce rembrandtiana della memoria è minuziosa, magica e fedele allo stesso tempo, come non lo sono mai le tinte più economiche della nostalgia. Gran parte del lavoro della mia vita è consistito nel trarre un’indicazione da certe visioni e, nell’infinita galleria di immagini della mia mente, ho imparato a fare affidamento sullo splendore di un dettaglio per riportare l’esattezza di un momento”.
Quando mi imbatto in pagine come questa e ci trovo tutto me stesso, non mi resta che ringraziare Nutrimenti Edizioni per aver portato questo autore gigantesco nella mia vita e Nicola Manuppelli per averlo scoperto e averlo fatto parlare ancora una volta nella mia lingua. Commovente la postfazione in cui Manuppelli racconta di una promessa fatta a Doig: avrebbe fatto di tutto per portare in Italia i suoi romanzi. Promessa mantenuta, per nostra fortuna.
Recensione di Valerio Scarcia
IL RACCONTO DEL BARISTA – L’ULTIMA CORRIERA PER LA SAGGEZZA – LA STAGIONE FISCHIETTANTE Ivan Doig
Commenta per primo