IL SOLE DEI MORENTI, di Jean-Claude Izzo
E’ un romanzo duro, ruvido nel tema trattato e nel linguaggio perché affronta un tema difficile che forse istintivamente rifiutiamo e preferiamo ignorare; per strada spesso incontrare un barbone ci infastidisce, tendiamo ad evitarlo avvertiamo disagio forse perché quegli individui emarginati senza casa e senza affetti ci ricordano la precarietà della nostra esistenza.
Questo romanzo di Izzo, scritto negli ultimi anni della sua vita, è un inno all’amore e alla vita, racconta la storia di Rico , un uomo buono che ha cercato sempre l’amore senza trovarlo e che per varie e occasionali coincidenze ha perso tutto, la moglie, il figlio il lavoro e di colpo si è trovato sul marciapiede diventando uno dei tanti senza tetto che si aggirano per la città di Parigi con tutti I suoi poveri averi in uno zaino.
Assieme a lui, l’autore ci descrive altri diseredati dal mondo, la prostituta bosniaca che ha perso la famiglia nella guerra di Iugoslavia, ricattata e tenuta in pugno da un protettore senza scrupoli, e poi ci sono Gege, Titi, il giovane algerino quattordicenne senza permesso di soggiorno e con il viso sfigurato e solo al mondo , insomma, senza pietismi inutili Izzo dà voce a chi non ne ha, raccontandone il dolore, l’umanità e la dignità che non dipende dal conto in banca.
Rico è un uomo buono che vive di elemosine e spende I suoi pochi soldi nel bere. Bere vuol dire , in inverno scaldarsi, ma soprattutto perdere la coscienza del presente per rivivere il passato nei sogni, la bella moglie, che lo ha tradito, il figlio che gli è stato portato via e gli altri amore svaniti. Bere è una fuga per sentire meno dolore e sfuggire per un pò alla consapevolezza di essere già morto, morto dentro.
Questi personaggi descritti con sguardo pietoso si sentono tutti, infatti gusci vuoti, morti dentro che per questo non possono più avere speranza e per questo vivono nel passato indifferenti al presente; una foto scolorita, logorare è per loro un tesoro, l’unico legame con un passato che non c’è più e un viatico per l’ultimo viaggio.
Recensione di Patrizia Franchina
Commenta per primo