IL VINO DELLA SOLITUDINE, di Irène Némirovsky
” Ma un’ infanzia rovinata, quella non si perdona.”
Quella dei Karol è una famiglia infelice e priva di amore. Tutti e tre sono prigionieri della loro solitudine, ma mentre Boris cerca di sfuggirla guadagnando milioni e poi dissipandoli al tavolo da gioco, e Bella riempie il suo vuoto inseguendo il pericolo nella gelosia e nella violenza del suo giovane amante, la piccola Helene beve la solitudine come un vino che le dà l’oblio, si rifugia nei libri, nel silenzio delle lunghe giornate ” che giravano tranquillamente su sé stesse come piccoli soli scuri in un universo dal ritmo differente”.
Helene odia sua madre perché sua madre non la ama; non la guarda, non la accarezza e quando lo fa la graffia con le sue lunghe unghie. L’unica persona che le vuole bene e si occupa di lei, si accorge di lei, è Mademoiselle Rose, la sua tata francese, dolce e malinconica.
Quando Bella, solo per imporre la propria autorità sulla figlia, licenzia Mademoiselle Rose, che muore poco dopo per strada, Helene, la bambina che ingoia le lacrime e stringe i pugni per soffrire senza lamentarsi, la bambina affamata d’amore e mai nutrita da dolcezza e affetto giura di vendicarsi, di far soffrire sua madre e il suo amante almeno quanto loro hanno fatto soffrire lei, e da quel giorno indurisce il suo cuore diventa un soldato, un guerriero, e come un perfetto stratega aspetta anni, fino a che i tempi saranno maturi e i suoi nemici senza difese, e allora metterà in atto la sua vendetta, e il suo cuore tornerà a battere caldo, e libero.
Recensione di Azzurra Carletti
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