E’ una famosa giornalista la vincitrice del Premio Boccaccio – Etica della Comunicazione – iLPassaparoladeiLibri.it l’ha intervistata per voi.
Il Passaparola Dei Libri ha avuto il privilegio di intervistare una delle voci più autorevoli e apprezzate del giornalismo italiano, Francesca Mannocchi, giornalista e documentarista, vincitrice del Premio Boccaccio nella categoria Etica della Comunicazione, che si occupa principalmente di migrazioni, guerra e Medio Oriente e ha realizzato reportage da diverse zone di conflitto (Iraq, Libia, Libano, Siria, Tunisia, Egitto e Afghanistan) ma nel suo ultimo libro, Bianco è il colore del danno (Einaudi), ha scelto di raccontare una battaglia diversa, quella contro la malattia.
In che tipologia di lettrice si riconosce più facilmente? Qual è il suo rapporto con la lettura?
La lettura è una tana. Lo è sia quando leggo saggi e testi che mi sono necessari per approfondire temi legati al mio lavoro giornalistico, sia quando leggo romanzi. Ancora di piu’ quando leggo poesia.
La lettura ha una ritualità. Ci sono dei periodi in cui una volta sveglia, di solito molto presto, mi dedico alla lettura di poeti e poetesse amati, Ingheborg Bachmann, Mariangela Gualtieri, Paul Celan, Pierluigi Cappello. La poesia mi accudisce, mi placa, e – l’ho capito con gli anni – alimenta il mio accanimento nella ricerca delle parole appropriate nel mio lavoro giornalistico. Perché la poesia, con la sua esattezza, non fa sconti. E mi insegna a non farne nemmeno quando lavoro. Così ci provo.
Mi piacerebbe avere piu’ tempo per leggere romanzi, e – ammetto – anche per rileggerne. Mi piacerebbe recuperare i classici, i libri letti da ragazzi che da adulti assumono nuovo valore. Il tempo che mi piace dedicare ai romanzi è l’estate. Ho bisogno di dilatare, uscire dalla routine, lasciare alle storie lo spazio che meritano.
Leggo su carta, ecco. Sono una lettrice che non si rassegna al digitale.
Francesca Mannocchi
Quale libro o quali libri le sono rimasti nel cuore al punto da volerli consigliare ai nostri lettori?
Difficile fare una selezione. Direi, di getto, i primi che mi vengono in mente ora e che a lungo sono stati sul mio comodino: Malina e Il Trentesimo anno di Ingeborg Bachmann, e le sue poesie certamente.
Le raccolte di poesie di Paul Celan, ogni verso è un incantesimo. Tutta Annie Ernaux e il suo romanzo sociologico. Hisham Matar, tutto ma Il Ritorno di piu’. Se possibile letto in inglese.
Recentemente ho letto Apeirogon, di Colum McCann, l’ho trovato magnifico.
E poi Alessandro Leogrande, da rileggere sempre, e ricordare come si scrive un reportage narrativo, come si racconta la realtà.
In un mondo in cui i like su FB sembrano avere un’importanza fondamentale, nel quale le classifiche più analizzate sono quelle delle auto-produzioni e chiunque sembra autorizzato a esprimersi sul valore di un’opera d’arte, ha ancora senso assegnare premi letterari?
Cosa ha significato per lei ricevere il Premio Boccaccio?
Quello che i premi fanno, talvolta, è restituire a un autore cosa la scrittura ha lasciato ai lettori. E ogni lettore è diverso. Ricevere un Premio come il Premio Boccaccio, per esempio, è stata la possibilità di relazionarmi con una comunità di lettori attenti, severi, emozionati e emozionanti. E, in un momento come questo, in cui anche gli scrittori sono esposti alla dittatura dei like sui social network, avere la possibilità di essere accompagnati dai lettori nella vita dei propri libri ha un valore profondo.
Oggi, il ruolo delle reti sociali come Facebook o Instagram è un dato di fatto impossibile da ignorare, eppure in molti faticano ancora a legittimarlo in campi come quello dei libri e della lettura: secondo lei lettura e reti sociali possono convivere in modo sinergico o è fatale che si escludano a vicenda?
Non ho ostilità verso le possibilità del web, e ne riconosco limiti e pericoli.
Credo che i lunghi mesi pandemici e di lockdown ci abbiano dimostrato sia quanto il web possa essere luogo di incontro e confronto (e perché no, anche accudimento di solitudini) e un luogo tossico e nocivo, pieno di disinformazione.
Il mio libro, Bianco è il colore del danno, è uscito quando non era possibile fare presentazioni in presenza, a febbraio. E la rete mi ha dato la possibilità di incontrare, sebbene da remoto, tanti lettori con le loro curiosità. Credo che dobbiamo muoverci con cautela ma senza diffidenza, riconoscendo rischi e limiti di un mezzo che è destinato a fare parte delle nostre vite e da cui dobbiamo estrarre le migliori energie, scartando quelle tossiche.
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