
Intervista a Franco Bordelli, eroe del romanzo poliziesco e della Resistenza
Intervista n. 253
Buongiorno, grazie di cuore per aver accettato di parlare con me. So che è andato in pensione da poco, prima di tutto come si sente?
Come prima, devo dire. Ma anche un po’ strano. Mi sento meglio e peggio. Dipende dai momenti. E mi dimentico spesso di essere in pensione, se Dio vuole.
Dopo anni vissuti a San Frediano si è ritirato nella campagna dell’Impruneta, come è stato il cambiamento e quanto è cambiata la sua vita?
In campagna riesco a vivere più piacevolmente la solitudine, di cui ho bisogno. Forse posso dire con un paradosso, che il “cambiamento” era quello di prima, quando vivevo a Firenze. In campagna mi sento a casa, come quando sono a Parigi. Un altro paradosso? Non so, ci devo riflettere.
Dalle sue ultime avventure sappiamo che pur in pensione continua in qualche modo a esercitare il suo mestiere sebbene rimanendo più defilato. Cosa la spinge a rimanere in azione?
Eh già, sembra che io sia in pensione ma continuo a darmi da fare. Sono nato sbirro, nel senso più bello della parola. Mi piace cercare di rispondere a delle domande, trovare il bandolo della matassa, vedere cose c’è dietro. Non posso farci nulla. E non è possibile spiegare come mai. Sarebbe come capire perché mi piacciono i tortellini in brodo.
Il giovane Piras da fidata spalla è ormai avviato verso una grande carriera. Cosa ne pensa di lui, della sua persona, del suo percorso e del suo futuro?
Pietrino Piras è intelligente, onesto, serio, acuto, sincero, capace, ha una mente raffinata. È molto meglio di me.
Lei ha avuto una vita piena di avventure, se dovesse segnare i punti fondamentali della sua storia quali sarebbero?
Uno fra tutti, la guerra. Ma anche la mia occupazione di prima del ‘40, quando da avvocato “fuorilegge” cercavo di proteggere le persone dalle angherie dei fascisti, in una città fascistissima che veniva chiamata appunto “fascistopoli.” E poi qualche donna: mia mamma, Rosa, Eleonora.
C’è stato un momento in cui si è sentito davvero in difficoltà o di fronte a una scelta più ardua?
Sì, certo. Quando ho dovuto fare giustizia per paura che la Giustizia non potesse fare giustizia. L’ho fatto con convinzione, non senza sofferenza, non per il mio tornaconto, e sapendo che mi sarei portato quel peso sulle spalle per il resto della vita. Ma non potevo fare altrimenti. Lo dovevo alla vittima di un sopruso intollerabile e meschino. Non posso permettermi di pentirmene.
Lei è stato protagonista della Resistenza con il Battaglione San Marco, quali erano le sensazioni che provava in quel periodo e che aria si respirava?
Si respirava aria di morte, ma si doveva andare avanti. In quelle situazioni non si è certo sicuri di tornare a casa. Ho familiarizzato con la morte, era come andare a cena con lei ogni sera. Adesso mi sembra un mondo lontano, ma anche vicinissimo. Spesso i miei compagni di guerra che sono rimasti uccisi vengono a trovarmi.
Sappiamo bene che e un assiduo frequentatore della libreria Seeber, quale libro ha sul comodino in questo momento? Qualche tempo fa ha avuto modo di conoscere la grande Alba de Cespedes, c’è qualche altro scrittore che le piacerebbe incontrare o che le sarebbe piaciuto conoscere?
Adesso sto leggendo il grande Remarque. Vorrei conoscere tutti gli scrittori e le scrittrici che mi accompagnano dentro le loro avventure.
Rimanendo in ambito letterario possiamo dire che riuscire a pubblicare le poesie di sua mamma – mi permetta di dire bellissime – sia stata una delle sue imprese più emozionanti?
Certamente. La mamma per un figlio è solo la mamma, invece si può scoprire che è molte altre cose.
Sua mamma le appare spesso in sogno e insieme al teschio Geremia segue i suoi percorsi introspettiva. Quale aiuto le danno queste due figure?
Il dialogo con i morti è prezioso, almeno per me. È la nostra coscienza che si manifesta attraverso di loro, a volte dicendoci cose che noi stessi non riusciremmo a dirci.
Un accenno a due figure femminili per lei molto importanti per motivi diversi, Rosa ed Eleonora. Ci dedichi un pensiero per ciascuna?
Rosa, una delle donne più candide e genuine che abbia mai conosciuto. La dimostrazione che certe anime non sono corruttibili. Si può attraversare il mondo delle case chiuse – non proprio un mondo di buoni sentimenti – e non marcire. Lo trovo incoraggiante. Eleonora è l’amore della mia vita. Una donna solare, xxx
Abbiamo recentemente parlato col Colonnello Bruno Arcieri che ha speso per lei delle parole molto belle. Cosa pensa di lui e delle mille avventure che gli sono capitate?
Posso dire che Bruno Arcieri mi somiglia molto, anche se siamo molto diversi. Sembra una contraddizione, ma non lo è: abbiamo un modo differente di muoverci nel mondo, ci comportiamo in modo diverso nella vita quotidiana, camminiamo e parliamo e sorridiamo in modo diverso, all’apparenza insomma siamo diversi, ma in profondità abbiamo qualcosa che ci unisce: sappiamo tutti e due che non faremmo mai certe cose e ne faremmo altre, sempre per un senso di giustizia che a volte va oltre la legge. Detto questo, lo considero un caro amico, e so di poter contare su di lui in ogni momento e in ogni occasione, e non è una cosa da poco.
Le sue cene “decameronesche” sono rinomate sia per la qualità dei menù che per le storie che i suoi commensali raccontano. Ci può dire come è nata questa tradizione e cosa le lascia ogni volta?
Queste cene “con racconto” sono nate per caso, ma sono diventate subito una piacevole consuetudine. Tutte le volte che qualcuno si siede a tavola con qualcun altro, è un’occasione per raccontare storie. Accadeva nel passato, davanti al focolare, che i vecchi raccontassero ai giovani le proprie avventure del passato. È un modo per tramandare le esperienze, per fare in modo che la vita di una persona non scompaia insieme a lui. Se ci pensiamo, tutti noi viviamo di narrazioni. Raccontiamo continuamente quello che ci accade, o quello che ci ha raccontato un’altra persona. La catena delle narrazione sta alla base della letteratura. L’Odissea è il racconto di Ulisse durante una cena presso i Feaci.
Un’ultima domanda, ringraziandola per la sua disponibilità. Ha da poco risolto l’unico caso della sua vita che era in qualche modo rimasto aperto, ma non ci sono altri fantasmi del passato da combattere?
Non sempre i fantasmi sono da combattere. La memoria è popolata di fantasmi, e senza di loro non potrei vivere.
Intervista di Enrico Spinelli
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