
Intervista a Maurizio de Giovanni: tra noir e sentimento. Napoli e le altre passioni nei suoi romanzi
Intervista n. 252

1. Partiamo dai delitti passionali che sono spesso al centro dei tuoi romanzi. Come fai a coniugare e a mettere in perfetto equilibrio la componente noir e quella sentimentale?
La letteratura noir è popolare perché scava nelle motivazioni del delitto, considera oggetto dell’indagine non tanto la scoperta del colpevole, gli indizi, le tracce, quanto le passioni che spingono agli atti di violenza, passioni che in fondo appartengono a tutti noi e sono connaturate alla nostra umanità. Nei miei romanzi, i delitti non sono mai semplicemente atti di violenza fine a se stessa, ma il risultato di passioni troppo forti, di sentimenti esasperati. E a muovere lo scrittore, come il lettore, del noir, è il desiderio di capire, di penetrare nei percorsi interiori che hanno portato al delitto. Io devo sapere perché, debbo capire.
Quando è cominciato quel delitto? Un minuto prima, un anno prima, o molti anni prima? Che colpa aveva quella persona? Ecco, la letteratura nera fa questo. Noi apriamo la porta in fondo alla scala, quella che teniamo chiusa, quella dello specchio dove ci guardiamo ogni mattina, quella delle passioni, delle sofferenze che non passano, dei desideri oscuri.
2. “L’antico amore” è il tuo più recente lavoro. Il nuovo romanzo che è uscito nelle librerie il 25 febbraio ha segnato il passaggio, sia pur temporaneo, dalla crime fiction al romanzo esclusivamente sentimentale. Tu hai dichiarato che questa storia è nata un pomeriggio di 16 anni fa al Gambrinus e l’hai tenuta per te tutto questo tempo. Possiamo affermare che l’hai scritta quando i personaggi hanno reclamato di avere una propria voce, come “fantasmi che chiedono giustizia”, che la loro storia fosse cioè conosciuta da tutti?
La storia è nata tanti anni fa ed è rimasta nella mia testa come un seme: ero ancora impiegato in banca, aspettavo in un bar un imprenditore per un colloquio di lavoro quando vidi in un tavolino vicino un uomo anziano leggere un libro con un coinvolgimento inusuale. A un certo punto si commosse così tanto da estrarre un fazzoletto e passarselo sulla guancia. Se ne andò, mentre una signora bionda lo aiutava a mettere il cappotto. E fu in quel momento che vidi la copertina e il nome dell’autore (si trattava del libro di poesie di Catullo). Mi precipitai a casa e cominciai a cercare quelle pagine. Io che mi ero approcciato a quell’autore solo da alunno del liceo, da adulto le trovai davvero emozionati.
Finalmente ora ne sono riuscito a scrivere e i personaggi del libro già mi mancano.
3. In una intervista che hai rilasciato qualche anno fa hai detto che “Le donne sono migliori nel resistere all’interno di un sentimento”. Quanto c’è di questa affermazione ne “L’antico amore”?
Le donne, nei miei romanzi, sono spesso custodi del tempo e della memoria, perché hanno una capacità straordinaria di resistere dentro i sentimenti, di coltivarli e preservarli, anche quando tutto sembra remare contro. Le donne sanno aspettare, sanno proteggere quello che sentono, anche a costo di pagare un prezzo altissimo. Anche se in questo libro racconto l’amore degli uomini, questa forza femminile comunque c’è.
4. Una caratteristica dei tuoi romanzi è che nessuna storia, a mio parere, è realmente indipendente dall’altra. Come se ci fosse un fil rouge che le lega tutte, quasi un’eco intesa proprio come un rimbalzo, un “ritorno”. Veri e propri legami tra romanzo e romanzo e che uniscono anche le serie tra loro. È così?
Se nei miei libri ci sono echi, richiami, ritorni, non è però un effetto voluto. Le mie serie, pur avendo vite autonome, condividono atmosfere e temi e i miei romanzi singoli, nascono comunque da quella stessa linfa narrativa. La città, il passato non smettono mai di parlare, e le storie, anche quando sembrano concludersi, in realtà lasciano sempre qualcosa in sospeso, qualcosa che torna,
che chiede di essere ascoltato. Ogni mio libro forse è un “ritorno” a qualcosa: a un sentimento, a un’idea, a una voce che non si è mai spenta del tutto.
5. Il lettore incide nelle tue scelte, sia nella storia, sia in termini di serialità che nella vita dei personaggi?
Non scrivo pensando a cosa potrebbe piacere o meno, ma sono molto felice che i miei personaggi abbiano creato un legame speciale con chi legge, e che questo legame diventi una parte fondamentale del loro viaggio. Non cambio però il destino di un personaggio per accontentare le aspettative, non tradisco la coerenza della narrazione per inseguire il consenso. La bussola resta sempre la storia e la verità emotiva dei personaggi.
6. La morte dei personaggi. De Giovanni è indulgente o cattivo, inflessibile?
Direi che sono giusto. Non indulgente, perché la vita non lo è mai, ma nemmeno crudele per il gusto di esserlo. I miei personaggi vivono il loro percorso fino in fondo, e quando arriva il momento di chiudere il cerchio, lo faccio senza esitazioni. Se un personaggio deve morire, è perché la storia lo richiede, perché la sua esistenza ha completato il proprio significato. Ma non credere che io non
soffra.
7. L’evoluzione di Ricciardi da L’omicidio Carosino a Volver. Passando attraverso la “voce” delle vittime, visto che come autore, tu lasci che a parlare sia proprio chi quella voce non ce l’ha più.
La storia di Ricciardi è una lunga battaglia contro il destino, una ricerca di pace in un mondo che non gliela concede. Dall’omicidio Carosino a Volver, il suo cammino è stato segnato da sofferenze, amori impossibili, scelte difficili. Ma è anche un percorso di crescita. Se all’inizio era un uomo chiuso, terrorizzato dall’idea di farsi coinvolgere nei sentimenti, col tempo ha dovuto fare i conti con
la possibilità di cambiare. Volver è il momento in cui tutto torna al punto di partenza, ma con una consapevolezza diversa. Il suo dono non è mai stato solo un mezzo per risolvere i delitti, ma un modo per ascoltare chi non ha più voce. E forse, alla fine, per trovare la sua.
8. Benché si muovano in contesti storici diversi, cos’hanno in comune Ricciardi e Lojacono?
Ricciardi e Lojacono sono due uomini segnati dalla solitudine e dal senso del dovere, due investigatori che si muovono ai margini del loro mondo. Ricciardi è un uomo degli anni ’30, ingabbiato in una condizione che non gli permette di essere felice. Lojacono vive nel presente, ma è ugualmente prigioniero di un passato che lo perseguita. Entrambi hanno un’innata capacità di leggere le persone, di capire le emozioni nascoste dietro i silenzi.
9. Hai raccontato tanti luoghi di Napoli nei tuoi romanzi. In tutti i tuoi romanzi, non solo quelli seriali. La città che hai definito “moribonda e immortale”. La tua città. Quale di questi luoghi è quello che ti è rimasto nel cuore?
Napoli è la vera protagonista di tutti i miei libri, un personaggio vivo, pulsante, capace di racchiudere contraddizioni e meraviglie. Se dovessi scegliere un luogo, direi il lungomare. Non perché sia il più spettacolare, anche se lo è, ma perché è lo spazio dove la città respira, dove il tempo sembra sospendersi. È un posto che racconta Napoli in tutta la sua essenza: il mare che porta via e che riporta indietro, la luce che illumina anche gli angoli più bui, la voce della gente che mescola malinconia e allegria. È un luogo che ti fa sentire piccolo e infinito allo stesso tempo.
10. Il ruolo della figura femminile nei tuoi romanzi. Sara Morozzi, Mina Settembre, ma anche Livia Lucani, Ottavia Calabrese.
Ho grande passione per le donne, quindi raccontare le loro paure, i loro sentimenti, il loro coraggio, rappresenta la parte più emozionante della mia scrittura. Sara Morozzi è l’intelligenza e la memoria, una donna che ha sacrificato tutto ma non ha mai perso la sua essenza. Mina Settembre è l’energia, la determinazione di chi non si arrende mai. Livia Lucani e Ottavia Calabrese,
ognuna a modo suo, rappresentano la complessità dell’amore, della passione e del dolore. Le donne hanno una capacità unica di resistere, di trasformare la sofferenza in determinazione. Nei miei libri, sono loro a portare avanti le vere battaglie, a custodire i segreti, a lottare per ciò in cui credono. Perché la storia, in fondo, è sempre nelle mani delle donne.
Intervista di Giuseppina Guida
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