Intervista a Tiziana Prina, editore di Edizioni Le Assassine per il libro “L’implacabile” di Alice Campbell

Intervista a Tiziana Prina, editore di Edizioni Le Assassine per il libro “L’implacabile” di Alice Campbell

 

 

Tiziana Prina

 

Intervista n. 201

 

-Com’è nata l’idea di scegliere proprio questo romanzo per una sua seconda ristampa?

In realtà questo romanzo non è una ristampa: non è infatti consuetudine delle Edizioni Le Assassine proporre libri che hanno già visto una traduzione italiana. A noi piace andare alla scoperta di romanzi inediti in Italia, e per fare questo nella collana Vintage leggiamo saggi, recenesioni, esploriamo i cataloghi delle biblioteche straniere e, quando siamo all’estero, visitiamo librerie antiquarie o mercatini di libri usati.

 

-La prima edizione di questo romanzo risale al 1928. In che maniera un romanzo così vecchio può risultare ancora contemporaneo? Occorrono migliorie?

Un romanzo, se ben scritto e con una trama interessante, non è mai vecchio a mio avviso. Comunque sono dell’idea che si debba lasciare la patina del tempo, ma nello stesso tempo rendere fruibile la storia ai lettori contemporanei, senza migliorie (per carità!) ma con un linguaggio comprensibile e talvolta con qualche giro di parole per spiegare un contesto estraneo al pubblico di oggi.

 

 

 

-Il romanzo indaga da vicino il fenomeno del “matrimonio di convenienza”. La giovane Thèresè, infatti sembra aver sposato Charles Clifford solo per motivazioni economiche. Secondo lei ciò accade ancora oggi? Cosa ne pensa dell’adulterio ai giorni nostri?

Qui andiamo sull’indagine sociologica, che non è proprio il mio campo, tuttavia penso che esistano ancora come, purtroppo, esistono ancora in molti Paesi i matrimoni combinati: il mondo cambia molto lentamente in tal senso. Credo comunque che con l’indipendenza economica della donna queste unioni non esisterebbero: è quella la strada per eliminarli. La parola adulterio non mi piace proprio, perché mi sembra di entrare nell’intimità di una coppia e giudicare chi fa che cosa.

 

-Tra i vari personaggi del mondo Campbell, vi troviamo quello di “Gregory Sartorius” un burbero medico considerato più che una macchina che una persona. Secondo lei, in campo medico, quanto è invece importante avere un carattere e una mente gioviale? Quanto questo rapporto può aiutare il paziente ad una pronta guarigione?

Un medico più che un carattere gioviale dovrebbe essere empatico, rendendosi conto che chi ha di fronte sta sperimentando una malattia più o meno grave. Tuttavia metterei al primo posto la competenza e in secondo l’empatia: sono questi gli elementi essenziali per arrivare alla guarigione.

 

 

 

-Il romanzo della Campbell racconta da vicino la pericolosità di alcune epidemie come il tifo e il tetano. Quanto erano letali e frequenti a quei tempi? In un tempo in cui taluni si affidano alla medicina e altri alla preghiera, lei dove si configura?

Lo sappiamo tutti come l’epidemia di Spagnola dei primi decenni del secolo scorso abbia mietuto milioni di vittime, perché non esistevano ancora farmaci efficaci per affrontarla. Detto questo, la medicina non è una scienza esatta e non sempre è efficace, ma a mio avviso non abbiamo altri strumenti di fronte alla malattia. Poi per chi è credente, la fede è di gran conforto quando si sta male.

 

-Il testo è stato abilmente tradotto da Simonetta Badioli. Un romanzo tradotto perde molto il suo senso originale? Quanto e perché è importante un giusto approccio nella sua traduzione?

Se il traduttore è bravo ovvero conosce usi e costumi del Paese da cui viene il testo, ha sensibilità linguistica e una padronanza della lingua italiana, possiamo essere quasi certi che il senso originale non va perso. A questo proposito, vorrei sottolineare quanto è importante la figura del traduttore, senza la quale perderemmo la conoscenza di altri mondi. Poi nel mondo della traduzione ci sono diversi approcci; per farla breve, c’è chi sostiene che una traduzione deve essere fedelissima al testo, rischiando così a volte che questa sia troppo legnosa e ingessata. Ci sono altri per i quali la traduzione deve essere bella e magari un po’ infedele: si legge per piacere, soprattutto un romanzo. Il risultato migliore è quando il traduttore diventa invisibile e riesce a ricreare il mondo dello scrittore.

 

 

 

-Esther Rowe, protagonista del romanzo, abbandona New York alla volta di Cannes. Ha mai abbandonato la sua terra natia? A favore di quale posto e perché? Qual è il viaggio che più le è rimasto nel cuore e perché?

Qui sfonda una porta aperta. Dico sempre che nella mia precedente vita dovevo essere un piccione viaggiatore. Ho infatti vissuto tre anni all’estero tra Germania, Inghilterra e Francia. Nel periodo universitario ho lavorato come accompagnatrice turistica, andando in giro per il mondo: mi manca solo l’Australia. E tuttora per le Edizioni Le Assassine vado spesso all’estero. Il motivo? Modi di vivere e di pensare diversi dal mio mi hanno sempre affascinato, e più sono distanti dal mio più mi attraggono. L’ultimo viaggio che mi ha entusiasmato è stato nella Corea del Sud.

 

Intervista di Lisa Di Giovanni

 

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