Intervista allo scrittore fiorentino Leonardo Gori

Abbiamo avuto la possibilità di intervistare Leonardo Gori, lo scrittore fiorentino con cui abbiamo ripercorso i primi 23 anni del suo personaggio Bruno Arcieri, senza dimenticare le altre opere e la sua collaborazione con Marco Vichi.

 

Leonardo Gori

 

-È da poco uscito “La Libraia di Stalino” una nuova avventura del passato di Bruno Arcieri, una storia che mescola ancora una volta romanzo storico, giallo e spy story. Quali parole useresti per presentarcela?

 

È un romanzo che in effetti unisce vari generi, dallo spionaggio al rosa, senza la volontà di prenderne le distanze, senza distacco pseudo-colto, ma anzi con amore. Però è soprattutto un romanzo-romanzo, con personaggi che soffrono per conflitti interiori, che modificano, nel corso della narrazione, il loro sguardo sul mondo. La guerra è presente, mi auguro se ne percepisca l’orrore e l’insensatezza, ma è più una guerra nell’animo dei protagonisti, primo fra tutti Bruno Arcieri.

 

-È nota la tua passione per il mondo dei fumetti, come testimoniano vari saggi tra cui il pregevolissimo “Eccetto Topolino” scritto insieme a Fabio Gadducci e Sergio Lama. C’è forse un legame tra questa passione e la tua capacità di rappresentare efficacemente scenari storici con poche semplici pennellate, senza mai cadere nella prolissità o in dettagli futili?

 

Ti ringrazio per aver evocato il Fumetto, grande forma d’arte autonoma (non genere) che amo moltissimo.

Quando scrivo, “vedo” la scena, inevitabilmente racconto per immagini. Ma non è una derivazione diretta dal mondo del Fumetto: la narrazione visiva è più antica, più vecchia ancora del Cinema. Dal Fumetto, invece, deriva probabilmente l’atteggiamento diretto, la comunicazione a volte anti letteraria, direbbe qualcuno. Rivendico l’appartenenza a una narrativa in cui  la parola è al servizio delle storie, della Storia e  dei personaggi.

 

3 Sappiamo che il Jazz è la musica prediletta del capitano/colonnello Arcieri, e sappiamo anche che il jazz più che un genere musicale è una dimensione fatta di tecnica ma anche contaminazione tra generi e personalità, possiamo trovare una certa analogia tra questa dimensione, il carattere di Bruno e, più a monte, la tua proposta narrativa?

 

Si, direi che l’intreccio è inestricabile. Anche la scrittura è spesso “sincopata”, jazzistica in senso classico. E poi, giustamente, la personalità di Bruno Arcieri, specie nella sua incarnazione “giovane”, è bilanciata fra razionalità e improvvisazione, fra testa e cuore. Il jazz è la pulsazione della Vita.

 

 

 

 

 

-In uno scambio di battute con te su Facebook ho percepito Bruno come una persona reale, può essere che in fondo il colonnello rappresenti un po’ chiunque si sia trovato in quegli anni ad avere una certa impostazione e a doversi mettere in discussione? Possiamo vedere nella sua crescita un po’ il romanzo di formazione del nostro paese?

 

Non ho tali pretese, ma inevitabilmente il capitano (poi colonnello) non può attraversare, indenne, gli anni più violenti della nostra storia moderna. Non può limitarsi a esserne testimone esterno, deve per forza sporcarsi un po’ le mani (mantenendo il più possibile la sua integrità morale). Attraversando ben tre decenni, fra fascismo, guerra, dopoguerra e rivoluzione del costume, nel 1968, si mette più volte in discussione, passa da apolitico ad antifascista e arriva a rinnegare perfino, nel 1969, il suo passato nei Servizi. Cambia, di trasforma, si consuma.

 

-Non credi che sarebbe l’ora per una bella trasposizione filmica/fumettistica delle sue avventure?

 

Ho deciso di rispondere così a questa domanda: “Sono io che ho dato mandato al mio agente di rifiutare ogni proposta, perché non voglio che il mio personaggio sia snaturato nelle trasposizioni”. Ovviamente scherzo, rispondo con un “magari!”, senza ipocrisie.

 

-È sempre bello vedere la tua collaborazione e lo scambio di personaggi con Marco Vichi, ci racconti come si concretizza ogni volta questa partecipazione?

 

È un bellissimo gioco, credo mai sperimentato da altri autori, per lo meno italiani. Tutto è iniziato molti anni fa, quando Marco seppe che stavo lavorando a un romanzo ambientato nel 1966, durante l’Alluvione di Firenze: mi disse che se passava “dalle sue parti”, Bruno non poteva esimersi da incontrare il commissario. Così è stato, e la scena a due raccontata ne “L’angelo del fango” è stata poi riproposta (con gli stessi dialoghi) in “Morte a Firenze”. Da allora, l’Intreccio fra i due si è fatto inestricabile, costringendo entrambi a prestare attenzione a giorni e ad ore, per non creare contraddizioni. Ma, cosa ancora più eclatante, Arcieri ha …obbligato Bordelli a raccontare qualcosa del suo passato remoto, negli anni Trenta, prima che entrasse in Polizia!

Perfino nella gelida Stalino del 1941 c’è un incrocio con la saga bordelliana, anche se indiretto…

 

 

 

 

 

-Lasciando da parte un momento Il colonnello, tu hai realizzato in passato una trilogia di gialli storici con protagonista Niccolò Machiavelli e ancora prima un romanzo storico/di formazione con il granDuca di Toscana Pietro Leopoldo. Quali sono le difficoltà nell’approcciarsi a personaggi storico/culturali così grandi e per certi versi moderni?

 

È una sfida bellissima, come camminare su un filo teso fra episodi storici ben noti e altri del tutto inventati, senza mai far torto alle vicende reali. Significa Lavorare nelle pieghe della storia, per usare un’espressione coniata da Ben Pastor. Ovviamente è più facile fare ciò con Machiavelli e Pietro Leopoldo, che con personaggi reali assai più vicini a noi, di cui conosciamo l’agenda giorno per giorno. Ma anche in questo caso, una scappatoia si trova sempre…

Per quanto riguarda l’approccio psicologico, ovviamente il personaggio reale viene un po’ tradito, piegandola a storie di totale invenzione. È un rischio che è comunque bello correre, illudendosi di salvare l’essenza del loro spirito. Come spero di aver fatto soprattutto con Pietro Leopoldo, il Principe rivoluzionario.

 

-Quest’anno è uscita una riedizione rivista di “Bloody Mary” con il titolo “Vite Rubate”, un romanzo scritto con Marco Vichi, tanto bello quanto crudele. Credo che entrambe le edizioni abbiano motivo di esistere per il diverso messaggio che trasmettono, e volevo sapere se condividi questa visione?

 

Le due edizioni del romanzo (che poi sono tre) differiscono per un punto essenziale: uno sguardo finale sul futuro, un piccolo ma fondamentale raggio di luce. Abbiamo voluto di comune accordo modificare questo aspetto: è un ribaltamento emotivo, ma che non tocca l’essenza di quanto raccontato nelle pagine che precedono. C’era troppa notte, serviva un po’ di sole.

 

-Una volta, e per me per buona parte anche adesso, il passaparola o il consiglio del libraio di fiducia erano la chiave per scoprire nuovi autori. Credi che i Social abbiano la stessa potenzialità? Qual è il tuo rapporto con questa forma di comunicazione?

 

I “social” sono bellissimi e orribili allo stesso tempo, offrono possibilità di comunicazione prima impensabili, ma allo stesso tempo servono come sfogo per tristi disagi, propalano notizie false e tentativi di manipolazione. Anche le “recensioni” scritte senza senso critico, o spesso dettate da risentimenti personali, o perfino da odio preconcetto, sono onnipresenti. Ma per fortuna ci sono gruppi di lettura, rassegne librarie a volte di alto livello anche tecnico, oltre che culturale. Per cui considero il bilancio positivo.

Naturalmente il consiglio del vero libraio, quando c’è (cosa niente affatto scontata) è di gran lunga preferibile, perché abbatte ogni diaframma.

-Per finire e tornando a Bruno Arcieri, ti volevo chiedere una cosa, citando tre autori come esempio: Simenon decise di chiudere con Maigret, Arthur Conan Doyle fu costretto a “risuscitare” Scherlock Holmes per le pressioni degli affezionati e il maestro Camilleri addirittura decise che l’ultimo romanzo di Montalbano sarebbe uscito postumo. Quanto è difficile convivere con un personaggio così complesso e amato? Quali sono le difficoltà e gli stimoli a cercare nuove avventure?

 

Non vorrei essere paragonato ai maestri citati. I loro personaggi sono vette altissime della Letteratura mondiale. Vorrei aggiungere anche George Smiley, di John Le Carré.

Direi comunque che gli stimoli a continuare non mancano, sono anzi inesauribili se consideriamo che mi restano da raccontare almeno vent’anni di avventure di Bruno, fra il ‘45 e il ‘65. Semmai, come dicevo prima, vivere storie sempre a contatto con guerre e trasformazioni profonde della società, trasformandosi a sua volta, maturando e cambiando pelle, fa invecchiare il personaggio. Che già nel 1970, con 68 anni sulle spalle, non può più permettersi tante scene d’azione…

 

Ti ringrazio davvero per la disponibilità e per la gentilezza… e un grazie speciale a Bruno Arcieri per le tante avventure che ha vissuto e che ci ha raccontato e ci racconterà.

 

 

Di Enrico Spinelli

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