Intervista allo scrittore Massimo Carlotto con il quale abbiamo parlato del suo personaggio più famoso, l’Alligatore, ma anche del suo…

Intervista allo scrittore Massimo Carlotto con il quale abbiamo parlato del suo personaggio più famoso, l’Alligatore, ma anche del suo ultimo romanzo e di tanti aspetti legati alla letteratura e alla società.

È passato praticamente un anno dalla pubblicazione de “Il Francese” che ci ha presentato un nuovo protagonista. Come è stato recepito questo personaggio? E quali elementi ti hanno ispirato per plasmare questo personaggio?

 

Diciamo che da molti anni a questa parte non ho più letto sui grandi giornali ma solo a livello universitario articoli che spiegassero l’evoluzione del prostituzione, che è un mondo a parte estremamente evoluto e organizzato. L’ultima statistica, che risale a una decina d’anni fa indica 9 milioni di italiani maschi che frequentano questo mondo, non esattamente pochi e questa sorta di accettazione del mondo della prostituzione mi ha molto incuriosito. Ho fatto come faccio di sempre nei miei romanzi, ho ficcato il naso un po’ qua un po’ la, ho riattivato vecchie pessime conoscenze che mi hanno presentato a loro volta dei pessimi personaggi e ho costruito attraverso una serie di interviste il personaggio del Francese, un Protettore moderno, di questi anni; da lì poi ho costruito la trama. Il romanzo è stato molto ben accetto, è andato molto bene, tanto che sia Mondadori che tanti lettori vorrebbero che io continuassi la saga del Francese, però ho altri contratti, adesso ne ho uno con Einaudi per tre romanzi e quindi vedremo. E poi devo tornare all’Alligatore.

 

Sei famoso per la serie de “L’alligatore” che conta un buon numero di pubblicazioni. Cosa ti ha spinto a “lasciare” metaforicamente un personaggio già definito per crearne uno nuovo?

 

Io l’ho sempre fatto, tieni conto che il prossimo Alligatore uscirà nel 2025, perché compie 30 anni ma in realtà in 30 anni ho scritto 10 romanzi, perché io non ho mai lavorato sui personaggi ma sulle storie e quindi se mi capita una storia che ho voglia di scrivere ma il mio personaggio non c’entra nulla lo lascio in panchina. Poi i personaggi si offendono, si arrabbiano e i lettori si arrabbiano ancora di più: mi è capitato di tenere in panchina l’Alligatore per 7 anni ma poi ho dovuto scrivere di lui perché ho avuto la rivolta dei lettori che mi dicevano “Se non pubblichi qualcosa dell’Alligatore non ti leggiamo più!”. Di fronte a questo, avendo una bella storia, l’ho fatta uscire. Però dopo è passato altro tempo perché l’ultimo dell’Alligatore, “Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane” è uscito circa 5-6 anni fa. Io credo che sia importante non lavorare esclusivamente sui personaggi, ma sulle storie. Il compito del Noir è di cercare nuove storie che raccontino questo mondo. Comunque l’Alligatore tornerà nel 2025.

 

 

 

 

Rimanendo sull'”Alligatore” quanto è grande la tensione nell’approcciarsi a una nuova storia e quanto e difficile bilanciare tra la propria libertà di espressione e le aspettative dei lettori?

 

Lo scrittore non deve mai lasciarsi impressionare o- uso un termine un po’ forte- intimorire dai lettori perché questi ultimi sono cambiati, sono più organizzati, consapevoli, più vicini, sono più attenti e hanno un peso e dei diritti. Come ti dicevo prima ho lasciato l’Alligatore per 7 anni, poi mi sono trovato in una libreria di Trieste e stavo presentando un libro quando si è alzato un signore, mi ha interrotto e mi ha detto “Tu non puoi scrivere quello che vuoi! Se cominci una serie devi tenere fede anche alla serie!” E aveva ragione, perché con la serialità l’autore fa una promessa in questo senso: io ho creato questo personaggio, te l’ho presentato, ti è piaciuto e quindi tra noi c’è un patto e questo va rispettato e con chiarezza. Poi io sono sempre stato chiaro con i lettori, ho sempre detto che lavoro sulle storie e quindi di non aspettarsi un Alligatore dietro l’altro. Poi gli editori diventano matti dietro questa storia, vorrebbero che tu scrivessi un Alligatore dietro l’altro, ma non funziona così. C’è un problema legato alla serialità perché ti impedisce di sperimentare e se un autore non sperimenta da un punto di vista  professionale non fa del bene né a se stesso né al Noir in generale.

Tu hai sostenuto che il noir è il nuovo romanzo d’inchiesta perché non ostacolato dallo strumento della querela, ne è un esempio il terzo romanzo dell’Alligatore, “Nessuna Cortesia all’uscita”. Possiamo dire che questo concetto vale ancora di più oggi ed è forse ancora più rafforzato da un eccesso di politically correct?

 

Questa affermazione l’ho un po’ modificata nel corso degli anni con un altro tipo di analisi, oggi dico che il mondo in cui viviamo e così complesso che tutte le forme letterarie devono concorrere a raccontarlo. La narrazione deve essere legata alla realtà, il lettore deve identificarsi e quindi deve essere uno strumento per far comprendere il mondo in cui vive il lettore. Questo è il lavoro dello scrittore di oggi. Però il Noir rimane lo strumento migliore, perché se guardo le altre forme letterarie vedo che c’è una sorta di arretramento. Noi Noiristi siamo più abituati a indagare la realtà anche perché  un Noir corretto ha dietro un autore che indaga su una storia e la racconta ma c’è un passaggio da vero al verosimile attraverso la forma romanzo; alla base c’è una storia vera che ti permette di indagare nel reale. Io auspico che tutti concorrano a raccontare perché credo che la letteratura sia una guida e una sorta di strumento di consolazione per il lettore.

 

Quale aiuto può dare in questo senso un altro genere, a mio avviso ben presente, nella tua produzione quale il romanzo storico?

 

Il romanzo storico è fondamentale, io ne ho scritti due, di cui uno a fumetti sulla guerra di Spagna. Mi piacerebbe scriverne altri perché il romanzo storico è una pagina fondamentale della letteratura che dobbiamo coltivare, è uno strumento di lettura dell’oggi assolutamente fondamentale.

 

 

 

 

Nel 2008 hai pubblicato il romanzo “Cristiani di Allah”, partendo dal fatto storico della conversione all’Islam di tanti cristiani in fuga dall’Europa nel XVI secolo per cercare la libertà, una cosa che con gli occhi di molte sembra quasi paradossale ai giorni nostri. Quanto e complesso il concetto di libertà?

 

Guarda, ho firmato la prefazione di un saggio sulla libertà di espressione in questo paese, che ovviamente è legata strettamente a tutte le altre forme di libertà: io credo che questa sia una situazione molto complessa per chiunque perche oggi la libertà è molto apparente e formale ma poco reale. Oggi la libertà è un principio assoluto che fatichiamo a mettere in pratica. Allora c’era un problema di censo di classe e la libertà ce l’avevano solo i nobili, i religiosi e le alte sfere della società. Lì c’era un altro tipo di libertà che poteva essere praticata ma era legata a un progetto criminale che teneva in piedi tutta l’economia del Mediterraneo, cioè la guerra di corsa, che riguardava dei soggetti che venivano interpretati come pirati o corsari a seconda delle parti. È incredibile come per 400 anni tutto il Mediterraneo si sia sviluppato e legato a una forma criminale e come quel progetto economico abbia sviluppato libertà e progresso. Se vediamo oggi la libertà nel Mediterraneo la storia si è capovolta perché al tempo eravamo noi ad andare nel Maghreb per cercare libertà, come fanno appunti i miei personaggi, oggi invece è un percorso al contrario legato all’immigrazione ma lì c’è una ricerca di libertà che da noi non è compresa perché oggi è estremamente difficile capire l’altro.

Proprio parlando di influenze è indubbio che oggi siano i Social la piattaforma prediletta di confronto e interazione. qual è il tuo rapporto con questa dimensione?

 

Ho un pessimo rapporto con i Social. Riesco a usarli solo per lavoro o per leggere. Leggo articoli blog, ma non riesco a entrare nella logica dello scambio, dei dibattiti perché non è mai ricomposizione del conflitto: se nasce un conflitto vincente chi urla più forte ma non c’è mai una ricomposizione, una mediazione e una soluzione che non si trova mai. Questo per me è un dato fondamentale che andrebbe regolamentato perché i Social sono in grado anche di distruggere le persone, pensiamo alle “shitstorm”, delle vere e proprie campagne denigratorie; questa è una cosa veramente pericolosa. Io ritengo che siano comunque fondamentali per leggere perché vi trovi una marea di materiale  di un certo tipo che è quello meno sfruttato, una ricchezza che andrebbe sfruttata per un arricchimento interiore ma anche per i dibattiti. Se guardiamo oggi una parte la stampa ha ridotto le pagine culturali dall’altro si è sviluppata un’autoorganizzazione degli appassionati di letteratura che hanno cominciato a dire la propria opinione, penso ai vari blog dedicati alla letteratura di genere, e questo è uno strumento di libertà. Questo è importante perché crea lettori consapevoli e uno scambio di opinioni pacato. Il 4 febbraio ci saranno gli “Stati Generali della letteratura di genere” a Bologna e parte del mio discorso sarà proprio centrato sul tipo di dibattito che stanno facendo oggigiorno autori sui Social. Compito dell’autore, secondo me l’autore deve sviluppare teoria: tu scrivi perché la letteratura serve a sviluppare teoria, cioè punti di vista sulla letteratura, e ne abbiamo bisogno. Da quanto tempo non esce più un saggio di valore letterario a livello di massa, è tutto molto frammentato.

 

Avrei ancora due domande, prima di tutto se hai in cantiere qualche nuovo progetto e cosa ci aspetta per il 2024.

 

Mi sono preso un anno e mezzo di riflessione editoriale per cercare di capire che tipo di romanzo potesse avere senso scrivere, secondo me ogni tanto bisogna fare questo tipo di riflessione.

Ho fatto altre cose, ho lavorato per il teatro e per il cinema e ad aprile esco con un romanzo con Einaudi Stile Libero e sarà con un  nuovo personaggio femminile, senza però serialità.

 

Come ultima domanda una curiosità da amante di musica: se avesse a disposizione un solo album da portare su un’isola deserta, quale sceglierebbe l’Alligatore?

 

Mi viene in mente un disco di Albert King, credo sia il quarto che ha prodotto ed è secondo me il disco che l’Alligatore potrebbe volentieri in un’isola deserta.

 

 

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