INVENTARIO DI QUEL CHE RESTA DOPO CHE LA FORESTA BRUCIA, di Michele Ruol (TerraRossa – aprile 2024)
Questo è un libro che esce sicuramente dagli schemi, da quei canoni che imporrebbero ad uno scrittore di attuare una struttura ben definita – costituita da una situazione iniziale, uno svolgimento, una conclusione – e, proprio perché manca di tutto ciò, si distingue prepotentemente per la sua originalità.
La costruzione non segue un criterio temporale e cronologico, bensì un criterio spaziale, che trova il suo filo conduttore attraversando gli oggetti evocativi della vita dei personaggi in maniera diversa e in tempi diversi.
È un libro, questo, che rappresenta un viaggio attraverso il dolore di due genitori che hanno perso entrambi i figli in un incidente stradale, un tentativo di elaborazione del lutto e un invito alla speranza; un argomento di fronte al quale mi sento piccola piccola e inadeguata per tutte le volte in cui mi sono lamentata di cose ben più banali.
L’aver affidato il compito di tenere uniti i pezzi della narrazione, come tessere di un puzzle, agli oggetti è come se in qualche modo permettesse di spersonalizzare il dolore provato dalle persone, poiché sono le cose che rimandano al loro vissuto, che ne conservano i ricordi, le forme, gli odori.
La scrittura chirurgica ed essenziale sviscera la devastante perdita di un figlio con un approccio quasi distaccato ed asettico; non a caso il libro è suddiviso in tanti piccoli frammenti proprio come si trattasse di un inventario di oggetti che hanno rappresentato la vita della famiglia prima, durante e dopo il tragico evento.
Questa apparente assenza di empatia, unita alla mancanza di individualità dei personaggi – volutamente indicati solo con nomi generici (madre/padre/maggiore/minore) – in realtà credo possa essere ascrivibile all’esperienza personale dell’autore, affermato anestesista e scrittore di testi teatrali.
Probabilmente l’intento è proprio quello di dare universalità alla delicata indagine psicologica sui genitori feriti e, comunque, a mio avviso, non toglie quel senso di magnetismo che il testo ha la capacità di trasmettere.
La copertina è di una bellezza disarmante, così come il titolo, dalla doppia valenza, concreta e metaforica, perché, se è vero che la foresta brucia, c’è sempre spazio per una nuova fioritura, anche se dopo un lungo percorso di recupero e di tempo.
Recensione di Paola Vicidomini
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