“È così che prendono vita le donne dei miei dipinti. Arrivano dai sogni. Si materializzano dai miei pensieri.
Le scovo tra le pagine di novelle e di tragedie.
Oppure le incontro a teatro, nelle arie di un’opera o negli atti di una commedia.
Ma queste figure incarnano anche frammenti della mia vita.
Rispecchiano le mie paure, parlano delle mie ambizioni.
Sono tutte, nessuna esclusa, parte di me.
Grazie a loro, posso esprimere le sfaccettature del mio essere e liberarlo da ogni imposizione.
Sono il mio contributo al necessario cambiamento della visione dell’universo femminile che presto dovrà avvenire.
Affido a queste donne i miei messaggi.
Le trasformò in simboli, in allegorie.”
Juana Romani, al secolo Carolina Carlesimo, fu una pittrice molto conosciuta e apprezzata ai primi del Novecento. Figlia di una domestica e di un brigante, nasce a Velletri e lì vive fino all’età di dieci anni, quando, venuta alla luce la relazione di sua madre con il figlio del proprietario della tenuta presso la quale lavora, per tacitare lo scandalo la coppia fugge a Parigi, portando anche la bambina.
Nella capitale francese Manuela, la mamma, inizia a fare la modella per i pittori, e dopo qualche anno anche Carolina intraprende la medesima carriera. Ma non dura molto, perché si innamora della pittura, scopre di avere talento, si mette dall’altra parte della tela e diventa Juana Romani.
Produrrà delle opere molto belle, protagoniste delle quali sono sempre donne: forti, consapevoli, pericolose, determinate, decise, sensuali. Per una delle tele più famose, “La figlia di Teodora”, le fece da modella Anna Caira, sorella di Maria Caira che, partita dalla Ciociaria, fondò a Parigi l’Academie Vitti (e sulla cui vita è incentrato il bel libro “Madame Vitti” di Dodaro e Cosentino).
Juana Romani conoscerà la fama e il successo, ma troppo presto la psicosi si impadronirà della sua mente e la sua sarà una fine tristissima, in un ospedale psichiatrico.
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