KOTO ovvero i giovani amanti della città imperiale, di Yasunari Kawabata
Yasunari Kawabata, primo scrittore giapponese ad essere stato insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1968, nacque ad Osaka nel 1899 e morì suicida nel 1972. Rimasto orfano dei genitori ancora bambino, fu allevato dai nonni, i quali anch’essi ben presto morirono.
Questa tragica esperienza segnò profondamente l’animo dello scrittore e giocò un ruolo di fondamentale importanza nella sua formazione artistica ed emotiva. Kawabata si è soffermato più volte all’interno delle sue opere sul tema della solitudine, elemento centrale a cui fa riferimento anche questo breve romanzo.
La storia è quella di Chieko, una giovane ragazza abbandonata dai genitori naturali e adottata poi da una ricca famiglia di mercanti di Kyoto. Chieko, accudita sin dalla primissima infanzia con amore e dedizione dalla famiglia adottiva, è dilaniata tuttavia da un profondo senso di inquietudine causatole dalla lontananza dalla sorella-gemella, Naeko. Quest’ultima, dopo la morte del padre, lavora come operaia nei boschi vicini al villaggio di Kitayama.
Le due ragazze si incontrano casualmente, si sentono attratte l’una dall’altra e sognano persino di poter vivere assieme, ma le enormi differenze d’educazione e di classe sociale impediranno loro di ottenere il tanto agognato ricongiungimento.
La penna soffice e delicata, unita allo stile cristallino di Kawabata accompagnano il lettore in un viaggio dal fascino quasi “ultraterreno”. Lo scrittore giapponese compone un autentico gioiellino della letteratura nipponica, ambientato nella Kyoto post imperiale, una città brulicante di festività e cerimonie tipiche della tradizione, in cui i personaggi affondano le proprie radici personali e culturali prendendo vita con incredibile sensibilità.
Chieko vive in un autentico rapporto simbiotico con la natura che la circonda, un giorno è insieme all’amico Shinici ad osservare i ciliegi in fiore presso il quartiere di Gion, un altro giorno si delizia con lo spettacolo dei cedri del Kitayama, altre volte si sofferma su due solitarie violette nel giardino di casa propria, ora appassite, ora più rigogliose ma mai abbastanza vicine da potersi realmente toccare, proprio come lei e sua sorella Naeko.
Koto è un romanzo delizioso, un’opera variopinta ricolma di colori, con un’attenzione maniacale al singolo dettaglio, in cui è descritto con minuzie il processo di produzione degli obi (tipica cintura giapponese, indossata tipicamente con i kimono) con la sua lavorazione puntigliosa al telaio, ma è anche un romanzo struggente, pervaso in tutta la sua interezza da un sentimento di profonda solitudine che aleggia sull’animo di Chieko e della gemella Naeko.
Una lietissima scoperta, uno scrittore geniale e raffinato del quale spolverare con pazienza tutta la sua opera, me ne sono innamorato alla prima lettura.
Voi avete letto qualcosa di Kawabata invece?
Recensione di Tommaso Aprigliano
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