LA BIBLIOTECARIA DI AUSCHWITZ, di Antonio Iturbe (Rizzoli)
La memoria e la letteratura. Ricordare è la nostra forza. I libri la nostra salvezza.
Una storia che nonostante l’ambientazione ha il fascino delle favole e l’atmosfera magica che si crea intorno ai bambini quando viene raccontata loro una storia. L’orrore dei campi di concentramento non ha risparmiato i protagonisti di questa storia, ma il loro modo di cercare di stare a galla ha un ché di straordinariamente umano. Una qualità che nei campi muore presto insieme ai corpi maltrattati, malnutriti, pieni di pulci, pidocchi e ogni tipo di parassita. Una qualità che muore perché negli occhi degli SS nuotano istinti opposti e gli ordini ricevuti dall’alto sono esche del male per eccellenza.
È la storia di Dita Kraus, nata Edita Polachova il 12 luglio 1929 a Praga, nota come la bibliotecaria di Auschwitz, sopravvissuta ai campi di sterminio. Figlia unica di un professore di Diritto, cresce in una casa piena di libri in francese, tedesco e ceco. A 8 anni scopre di essere ebrea, i suoi genitori non glielo avevano mai detto prima. Al padre viene proibito di esercitare la sua professione e la famiglia viene espulsa dalla sua abitazione, costretta a spostarsi e a condividere le stesse stanze con altre famiglie. Dita viene addirittura separata dai genitori, ma partecipa a eventi sportivi, canta nell’opera del ghetto e prende corsi di pittura dal maestro Friedl Dicker-Brandeis.
Nel 1943, Dita Kraus e i suoi genitori sono deportatati a Auschwitz-Birkenau nel campo BIIB riservato alle famiglie. I capi delle SS avevano deciso di aprire una sezione speciale, con migliori condizioni di vita per poter dimostrare agli occhi del mondo e delle organizzazioni umanitarie che le notizie riguardanti Auschwitz non erano veritiere. Il Blocco 31 era così pronto in caso di ispezioni da parte della Croce Rossa. Questo agghiacciante stratagemma nazista dette modo agli ebrei prigionieri di alleggerire la detenzione ai tanti bambini prigionieri del campo. Al centro del Blocco 31 infatti in una baracca venivano raggruppati i bambini, mentre i genitori lavoravano, sorvegliati da un gruppo di ex insegnanti ebrei. Insegnanti che in realtà avrebbero dovuto solo tenerli occupati senza far loro lezione. E invece fu messa su una vera e propria scuola clandestina con persino una biblioteca anche se di solo 8 volumi.
Vale la pena farne la lista, solo per capire l’importanza di questo piccolo tesoro entrato ad Auschwitz tramite il mercato nero. La biblioteca, quindi, era così composta: un vecchio atlante che mostrava l’Europa con Paesi e imperi che non esistevano più da tempo, un trattato di geometria, la “Breve storia del mondo” di H.G. Wells, che raccontava di uomini primitivi, di romani battaglieri, di egizi ingegnosi, di terre lontane e di popoli ormai scomparsi, un libro di grammatica russa, che nessuno di loro sapeva leggere, un romanzo in lingua francese, rovinato e consumato, un trattato intitolato “Nuove strade della terapia”, di Sigmund Freud, un romanzo in russo, senza la copertina, e infine un romanzo in ceco, in pessimo stato, dal titolo “Le vicende del bravo soldato Svejk”, di Jaroslav Hasek.
A Dita con il numero 73305 tatuato sul braccio, viene proposto di nascondere questi libri e di diventarne la custode. Dita sebbene impaurita accetta con orgoglio l’incarico e lo porterà avanti con il coraggio e la forza dei suoi anni e del suo carattere. Suo padre morirà dopo poche settimane di stenti, lasciando Dita nel più grande sconforto, ma mai disarmata per combattere l’orrore dei campi.
L’8 marzo 1944, la metà dei bambini del Blocco 31 vengono mandati nelle camere a gas. Due mesi dopo Dita viene trasportata in un campo di lavoro a Amburgo con la madre e poco dopo a Bergen-Belsen, dove lei compie sedici anni, poco prima dell’arrivo degli Inglesi. Finalmente Dita è libera, ma sua madre duramente provata morirà poco dopo.
Di ritorno a Praga, nel 1945, Dita incontra Otto Kraus, un insegnante del Blocco 31. Si sposano e nel 1947 emigrano in Israele, dove entrambi insegneranno la lingua inglese.
Oggi Dita è ancora in vita e la sua storia continua ad emozionare il mondo. L’hanno raccontata a modo loro, sia lei che il marito. E non solo. Antonio Iturbe, giornalista e scrittore spagnolo, ha contribuito a far crescere l’interesse per la storia di Dita, romanzandola, creando questo libro stupendo, ormai tradotto in tantissime lingue. Come lui, tutti i suoi lettori rimangono colpiti dalla storia incredibile di Dita.
Ma il successo del libro risiede anche nella capacità dello scrittore di disegnare i protagonisti con grande maestria da farli sembrare veri pur sempre rimanendo avvolti nella magia e nell’incanto della letteratura. Come Dita , anche Antonio è un grande lettore e ricorre alla letteratura per procedere con la narrazione. L’intento suo ce lo spiega benissimo la frase – riportata in esergo – di William Faulkner, a sua vota citato da Javier Marías: «La letteratura è un fiammifero acceso in un prato nel cuore della notte. Un fiammifero che illumina appena, ma che ci permette di vedere quanta oscurità abbiamo intorno.»
E oggi, che ricorre il Giorno della Memoria, questo fiammifero è ancora più che mai necessario. Antonio Iturbe iscrive nei nostri cuori un messaggio che è luce, che è fiammifero, che è speranza.
Parole che poi sono quelle di Dita Kraus. «Il mio messaggio è sempre lo stesso» dice ancora oggi Dita Kraus: «insegna ai tuoi figli a non odiare, insegna loro ad accettare l’altro.»
Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto
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