LA CITTÀ DEI VIVI, di Nicola Lagioia
Recensione 1
Finalmente, dopo un periodo troppo lungo, sono riuscito a ritagliarmi del tempo per la lettura, e ho cominciato da questo libro che mi era stato regalato per il compleanno da un’amica.
Contrariamente al solito, questo non è un romanzo, e di sicuro non è un thriller perché la storia è tutta tristemente ben nota. Ma non è nemmeno un saggio, o una asettica ricostruzione degli eventi. Come lo si potrebbe incasellare, quindi? Risposta: non lo so, ma è un libro che consiglio caldamente di leggere.
Partiamo dall’inizio. Il volume è di poco più di 400 pagine, e racconta, in forma apparentemente romanzata, la terribile e reale storia dell’omicidio di Luca Varani ad opera di Manuel Foffo e Marco Prato, avvenuto a Roma il 4 marzo 2016. Chi lo racconta è l’autore, che, in prima persona, ci narra di quando, a valle dell’omicidio, venne incaricato di scrivere un reportage sul fatto.
Tutto quello che avvenne prima, durante, dopo e collateralmente al crimine viene, dicevo, raccontato in forma apparentemente romanzata. In realtà, come l’autore specifica alla fine, tutti i personaggi coinvolti sono reali, e hanno detto o fatto ciò che viene descritto, nel modo in cui viene riportato. Tutta la ricostruzione è stata fatta sulla base di dati oggettivi, quali interviste o documenti d’inchiesta. Semplicemente, anziché farne una asettica ricostruzione, l’autore ha scelto di romanzarla.
Questa scelta, almeno secondo il mio personale e opinabile parere, ha come scopo di “alleggerire” con la formula della docu-fiction, una realtà così cruda da dare il voltastomaco.
Occorre rimarcare che l’omicidio, particolarmente efferato, è avvenuto realmente, per motivi riconducibili principalmente al delirio etilico e chimico di due persone emotivamente disturbate a causa di vissuti familiari e sessualità indefinita. Andando a leggerne i dettagli, e magari riflettendo sulle opinioni dell’autore che egli stesso dissemina lungo il corso della narrazione, vengono alla luce dei risvolti sulla nostra società, dell’intera società intendo, che sono tutto fuorché gradevoli.
La città eterna, Roma, fa da sfondo a tutto, e contribuisce a rendere il tutto più vero del vero. Personalmente non sono d’accordo con l’autore che spesso e volentieri indulge a voler caricare la città di colpe e possibilità che solo lei offrirebbe: certo, la situazione nella Capitale è abbastanza nota, ma gli ambienti ricchi di depravazione si trovano tanto lì quanto a Milano, Torino, Napoli, Firenze, ed in generale nelle grandi città, ognuna nel suo modo specifico.
Cosa rimane dopo aver letto questo libro? Nel mio caso, l’idea che gli spacciatori di droga dovrebbero essere frullati e i loro resti buttati in mare per farne mangime per i pesci. Che alcune persone dovrebbero essere sterilizzate perché del tutto inadatte a fare i genitori. Che certi giornalisti dovrebbero essere impiegati nell’attività mineraria estrattiva. Che questa vicenda è una immane tragedia dove non c’è un solo colpevole, per quanto faccia comodo pensarlo.
La cosa peggiore è la consapevolezza che, per come sta derivando la nostra società, crimini del genere continueranno a susseguirsi, ambientati in città diverse, in contesti diversi, con personaggi diversi, ma comunque seguendo le indicazioni della stessa regia.
In sintesi, non lascia di buon umore, ma non certo per la scarsa qualità dell’opera, anzi, tutt’altro.
Recensione di Mitia Bertani
Recensione 2
“Facile la discesa all’Averno.
Virgilio.
E’ Roma, la “città dei vivi”, quella che sovrasta con la sua eterna bellezza ma anche con la sua parte più oscura, l’ossessione di un uomo, scrittore, trascinato in una ricerca senza fine per scoprire e dare un nome, una motivazione, una causale al Male che vi si annida.
Roma, fatta di marmo candido in alto e di topi per le strade, soffocata dai rifiuti, con i tombini che saltano ad ogni pioggia. Roma dove tutto è inaffidabile, dove la lezione del passato è comprendere che “tutto è umano e corruttibile” ma dove “tutto ciò che di magnifico si può chiedere alle forme è a portata di sguardo”.
Roma che dai suoi punti più alti vede scorrere il Tevere e attorno tutta le meraviglie dell’arte e della Storia. Roma che ha una forza tenebrosa e impenetrabile che scorre anche in una dimensione ”altra” di profondità limacciosa e ambigua infettando gli animi, propagando scelleratezza e malvagità nel terreno fertile di un’assenza di valori, di consapevolezze, di futuro che si sgretola come quella polvere bianca che conduce a paradisi artificiali o alla morte.
Roma che alla gioiosità dei suoi abitanti che vivono all’interno di scorci gloriosi di incanti e splendore, nella sospensione perenne tra “armonia e disordine, bellezza e noncuranza”, contrappone un mondo di demoniaca perfidia che alberga e si compenetra nelle sue trame, quasi inscindibile tributo a tanta magnificenza.
Ed è ancora Roma, la grande protagonista de” La città dei vivi” (Einaudi 2020) che Nicola Lagioia racconta partendo da un terribile fatto di cronaca recente che, per la sua efferatezza, ha colpito indistintamente tutti noi, ma che ha affamato alcuni nello spasmodico inseguire e individuare una logica, un sentimento, un qualcosa che potesse, in qualche modo, essere riconducibile alla natura umana.
Marzo 2016. In un appartamento del Collatino, due ragazzi di buona famiglia, Manuel Foffo e Marco Prato, torturano per ore ed uccidono un ragazzo più giovane di loro: Luca Varani. L’epilogo di tutta la storia sarà oltremodo tragico.
Per quattro anni Nicola Lagioia raccoglie verbali, interviste, documenti, parla con gli amici dei tre ragazzi, con gli avvocati, con la Polizia, accumula dati, esamina messaggi Whatsapp, riunisce testimonianze sul fatto e sugli antecedenti, spesso indagando se stesso e ponendosi domande su domande per cercare di comprendere l’origine di ciò che non avrebbe avuto ragion d’essere. In questa storia di colpevoli ignari di quello che sono o sono diventati, di rapporti familiari difficili, di confusioni di sessualità, di identità svuotate dalla droga e dall’alcool, di divari sociali, neanche la vittima appare perfettamente innocente come si era creduto fin dall’inizio.
L’autore stesso appare tra le pagine con le sue riflessioni, in punta di piedi, senza disturbare il lettore, come se fosse lui stesso un competente partecipante all’indagine che lo aiuta nel fare il punto di una situazione sempre più intricata e colma di sfaccettature intime e psicologicamente rilevanti.
Una prosa veloce, evidentemente coinvolta e coinvolgente, diretta, cattura fin dalle prime pagine innescando una serie di sentimenti così contrastanti che, mutando ad ogni riga, ci si stupisce di aver provato, seppure per un attimo.
Un libro bellissimo che affronta una ferocia che sembra slegata da ogni coscienza di chi non chiede il perdono pur ammettendo le proprie colpe, di chi non ha strumenti per riconoscere nell’altro una persona, di chi riesce a manipolare tutti ma cede a se stesso, di chi ha distrutto la sua vita e i suoi affetti e ancora chiede aiuto perché non comprende il perché delle sue azioni e non riesce a dare o a farsi dare nessuna risposta, forse perché questa risposta davvero non esiste.
Recensione di Maristella Copula
LA CITTÀ DEI VIVI Nicola Lagioia
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