LA DONNA CAPOVOLTA, di Titti Marrone (Iacobellieditore)
Candidato al Premio Strega 2019, un romanzo attuale, anzi attualissimo, “La donna capovolta” è uno specchio di ciò che mi sta per accadere e che mi riguarda nell’intimo. Analizza in maniera ironica ma tagliente la condizione della mia generazione, quella degli ex baby boomer, quella degli ex-sessantottini, divenuti oggi parte integrante di quella stessa società borghese e agiata di cui denunciavano da giovani l’ipocrisia, la falsità e i paraocchi.
Questa generazione oggi ha un compito ingrato: occuparsi dei genitori anziani che invecchiano e che rimangono in vita per periodi lunghissimi in condizioni di assoluta dipendenza obbligando i figli a fare i conti con i propri sensi di colpa e a inserire altre persone nella propria vita. Sono le badanti, un esercito di donne che lasciano le loro case, i loro paesi, i loro figli per accudire i genitori altrui, in case altrui, in paesi ostili.
Sono due donne le protagoniste del romanzo, Eleonora e Alina: Eleonora è la cinquanta / sessantenne che incarna l’italiana media intelligente, ma soffocata dagli stereotipi e i pregiudizi della sua professione da intellettuale, che come i chili in sovrabbondanza inondano negativamente la sua vita. Alina è la badante con il fisico ancora impeccabile, ingegnere nel suo paese, badante in Italia.
Ognuna con le proprie peculiarità, si fanno una lotta spietata, nemiche nella quotidianità, ma accomunate di fatto da intelligenza, cultura e sensibilità. Eleonora è una filosofa, insegna studi di genere, frequenta amici intellettuali e progressisti, ha un marito assente e una figlia all’estero. Ha un’anziana madre demente da accudire e si ritrova ad affrontare un periodo di disorientamento totale. Alina, invece è una efficientissima badante moldava assunta per prendersi cura della madre. Le due donne sono costrette a confrontarsi in un tempo spietato dove la figura della vecchia madre le obbliga a fare i conti con la realtà: entrambe prigioniere di un destino sempre meno rosa, sono come lo specchio l’una nell’altra e non possono fare altro che odiarsi.
Ognuna pensa di essere diversa e invece si assomigliano molto di più di quello che credono; per di più dipendono l’una dall’altra. In Italia da dieci anni, Alina fa di tutto pur di mantenere il lavoro, indossa lo stereotipo della badante che parla un italiano stentato e con una cultura piuttosto bassa. È nostalgica dei tempi che furono, dell’Urss, odia Gorbaciov e non sopporta i sentimenti progressisti delle persone per cui lavora. «Una freccia per Eu, l’altra per No Eu. Nella mia lingua, l’io e il non-io, l’essere e il non essere. […] pulisco altrui water, vengo da un povero Paese post-comunista ma nascostamente sono una maratoneta della cultura occidentale.» (p. 14)
Grande conoscitrice della letteratura italiana (e non solo) conosce Dante, Shakespeare, Ionesco, ama la musica e parla una lingua che non è la sua meglio degli italiani stessi. Parlando di sé, delle difficoltà incontrate al suo ingresso in Italia, si sente vicina Dante: «Camminai per chilometri arrampicandomi con le mani e scivolando nel fango, e mentre scivolavo nella neve continuavo a ripetere per me sola un mantra dantesco: “nel mezzo del cammin di nostra vita […]. Proprio come il divino poeta, quando arrivai in Italia per la prima volta avevo trentatré anni.» (p.42)
Eleonora non riesce a prendersi cura di sua madre forse perché è doloroso assistere al decadimento fisico e non solo del proprio genitore: «Me la guardo e non vedo l’ora di andar via. Perché non so assistere a questo sfascio silenzioso e inesorabile, non so vegliarle questa vecchiaia accanita a fare di lei il simulacro muto e ostile della donna importante che fu.» (p. 86-87) Per Alina è diverso, lei riesce a stabilire un contatto, forse proprio perché non coinvolta emotivamente, anche se ferita perché lei non ha potuto curare sua madre: «mi prendo in carico la madre di un’altra, di una figlia schifiltosa dallo stomaco delicato che a stento riesce a guardarla […]. La parte migliore del tempo è quella di noi due sole, senza la figlia, senza il marito, in uno spazio nostro di gesti e silenzi che anche Erminia ha imparato.» (p. 127)
L’esperienza di Alina, ci obbliga a prendere atto delle mille difficoltà e violenze alle quali migliaia di donne straniere sono costrette e subire una volta arrivate nel nostro bel paese, spesso costrette alla prostituzione. «Vorrei qui una fotografia della bambina Oksana da avvicinare a quella della donna spezzata dei giardinetti. Le metterei insieme, una dietro l’altra, le sbatterei sul muso brutto e grasso dell’amica di Eleonora, la cinguettante sovietologa appassionata di Gorby, e gliele farei ingoiare tutt’e due, dopo averle ben guardate e poi masticate accuratamente.» (p. 100)
Ma è il tradimento che più ci fa soffrire, il tradimento delle persone a noi vicine. Perché il tradimento si annusa: «penso, ma non dico niente. Però gli sento addosso un odore strano. Come un alito di falsità, di inganno, soffiato insieme al respiro mentre s’infila cauto fra le lenzuola dove io faccio finta di dormire.» (p.62)
Sia Alina che Eleonora sono come “capovolte” dalle persone intorno, costrette dalle circostanze a rovesciare le proprie visioni del mondo e dei rapporti. Dice Eleonora di sé: «Avrei creduto di poter vivere, se non una seconda giovinezza, una maturità appagata. […] Invece sono come crocifissa, capovolta, impalata su due assi che tengono in scacco la mia persona, strattonandomi a metà fra una figlia irrisolta e una madre perduta.» (p.120)
Un romanzo spietato, ma anche comico, sulla vecchiaia, la malattia, le delusioni della vita, i piccoli trucchi per fuggire dalle responsabilità. Una tecnica narrativa efficientissima, dove alle due voci femminili, si contrappone una terza voce narrante imparziale, dove lo scontro fra due donne e due civiltà diverse si palesa nelle ultime pagine lasciando aperto il difficile problema dell’assistenza ai genitori e l’accoglienza dei migranti.
Titti Marrone, napoletana, scrittrice, giornalista, insegnante universitaria, è anche socia di “Iocisto” una libreria gestita dai lettori, una bellissima realtà, una comunità di persone unite dalla voglia di non lasciar disperdere il fascino dei libri. Perché la lettura è tutto. Prima di scrivere bisogna saper leggere ci dice l’autrice e noi non possiamo che essere d’accordo con lei e la ringraziamo che a lei riesce anche molto bene scrivere.
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