LA DONNA CHE SCRIVEVA RACCONTI, di Lucia Berlin
Tanti racconti per una raccolta che svela la vita pazzesca dell’autrice. Storie apparentemente indipendenti che costituiscono in realtà un unico, omogeneo, incredibile flusso di ricordi, eventi, emozioni, dolori, gioie.
Lucia non appare mai con il suo nome ma appena si entra nel meccanismo dei racconti la si riconosce immediatamente. Ci racconta di una madre anaffettiva, e alcolizzata come il sadico nonno dentista (figura spaventosa, forse la più tremenda, come dimenticare le pagine in cui impone alla nipote di estrargli tutti i denti e non solo quella!), di una sorella malata, di tre matrimoni, di quattro figli. Dei mille lavori per sopravvivere (donna delle pulizie, assistente di laboratorio, insegnante etc.). Della vita in Messico, in Cile, in California.
Un’autobiografia che si traveste da raccolta di racconti, forse anche per non sopraffare il lettore con l’angoscia di una vita dove l’alcool, le droghe, la violenza, la malattia la fanno da padrone. In effetti la scelta di raccontarsi senza necessariamente seguire un ordine cronologico, a “sprazzi”, innestando sulla dura realtà parti di fantasia, mischiando se stessa con altri personaggi, riesce ad alleggerire la gravità dei fatti raccontati.
Il risultato è un libro che atterrisce per la durezza ma che appare lieve come una commedia rosa. E che non credo dimenticherò facilmente.
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