LA DONNA DEL RITRATTO, di Javier Cercas
Tutto quello che succede al protagonista di questo libro è prevedibile, tranne che per il protagonista stesso. Non è una critica ma una constatazione, capita a molti: spesso la realtà è evidente a tutti tranne che all’interessato. Soprattutto nei momenti di crisi. Tomàs è un docente universitario precario, sposato con Claudia e in attesa di un figlio. La moglie è fuori città per lavoro e lui si infila in un cinema per rivedere un classico di Fritz Lang “la donna del ritratto”.
All’uscita del cinema incontra casualmente Claudia, il suo amore di gioventù con cui, ovviamente, passerà una notte di passione e che, altrettanto ovviamente, sarà il pretesto per mettere in discussione le sue scelte sentimentali e in fondo anche quelle professionali.
Da qui un susseguirsi di incomprensioni tra Tomàs e la vita, una serie di voli pindarici e di rapidi atterraggi disastrosi e scontati. Cercas racconta la storia di Tomàs con un misto di ironia e empatia, farcisce la narrazione di citazioni (in genere belle), sembra perdersi nelle descrizioni troppo accurate e nelle discettazioni tra universitari rendendo invece perfettamente la pedanteria del suo protagonista e l’autoreferenzialità di certi ambienti “intellettuali”. Come nell’insistente ripetizione della distinzione tra personaggi di carattere e personaggi del destino.
“Il personaggio di carattere è quello che vive immerso nel presente puro, nel puro ribollire dell’istante, dentro il piacere permanente e senza finalità della pura affermazione vitale. Il personaggio del destino, invece, non vive per il presente, ma per il futuro, perché trae soddisfazione solo dall’impresa compiuta, un’impresa che, del resto, una volta compiuta perde ogni attrazione e deve essere sostituita da un’altra”.
Distinzione che mi ha riportato alla memoria quella meno intellettuale ma molto più ironica e goliardica che faceva Luciano De Crescenzo tra popoli d’amore e popoli di libertà.
Recensione di Elena Gerla
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