LA FESTA DEL RACCOLTO, di Thomas Tryon
Recensione 1
Stanca della vita cittadina, una famigliola newyorkese si trasferisce in remoto villaggio del New England, dove ancora gli eredi dei pionieri còrnici seguono le vecchie tradizioni legate al raccolto estivo.
Tutto sembra perfetto ma quando Ned Constantine, incuriosito da una strana lapide al cimitero, inizia a fare domande, scopre che le feste del raccolto sono qualcosa da prendere molto sul serio e che i prosperi campi di granturco celano segreti inquietanti.
Lo scrittore viene dal cinema e si vede: le descrizioni dei personaggi e le scene hanno il tipico taglio del cinema degli anni Sessanta e Settanta; purtroppo, questo stile narrativo ci mette un bel po’ a ingranare, perché l’autore punta molto sulla scena e poco sull’atmosfera, con l’effetto di rallentare la narrazione che non decolla davvero almeno fino a metà romanzo. Dopo, diventa un buon horror “classico” e ripaga la perseveranza del lettore.
Il libro ha il pregio di aver ispirato I Figli del Granturco, uno dei racconti più celebri e meglio riusciti di King, che però non ha mai confermato ufficialmente questo legame.
Lettura gradevole e “scacciapensieri” ma i brividi saltano qualche chiamata; traduzione di Bruno Oddera (per Mondadori, a oggi l’unica disponibile anche se il libro è fuori catalogo) poco curata e di livello veramente scarso: molti i vocaboli desueti e fastidiosamente ripetuti (tipo costumanza, che compare 50 volte), imperdonabili errori quali “stomachi” e “la compassionavo” (invece di la compativo) rendono la lettura una vera sofferenza. Chi può, lo legga in inglese.
Recensione di Valentina Leoni
Recensione 2
Un romanzo pazzeschissimo, in modo più raffinato potrei dire “chapeau”. Una storia che è un giallo, un noir e un horror gotico, pastorale, con folclore antico, magia, riti pagani, superstizione. Per chi ama il genere, per chi è affascinato dalle “costumanze” delle società agricole è imperdibile. Peccato solo sia scivolato nell’oblio. La mia è una edizione del 1974, ristampe recenti non ce ne sono – che io sappia, chi avesse la fortuna di vederlo dimenticato in qualche angolo di casa, lo prenda e lo legga (perdonate l’esaltazione!).
È la storia di Ned Costantine, un pubblicitario newyorkese che, stanco della frenesia della città, si rifugia con la moglie Beth e la figlia adolescente Kate a Cornwall Coombe. Il villaggio è un’enclave del New England, separato dal resto del mondo da un ponte. Attraversandolo, la famiglia viene catapultata in un’America ottocentesca, legata a filo doppio alla terra e ai suoi doni, dove tutto segue il ciclo delle stagioni e del raccolto del grano, principale mezzo di sostentamento della comunità. L’aratura, la semina, la coltivazione e il raccolto vengono fatti ancora coi metodi antichi, senza l’intervento della tecnologia. Raccontata così sembra una favola magica, la rinascita per la gente di città che ha bisogno di cambiare vita; col passare del tempo, tuttavia, Ned si rende conto che a Cornwall Coombe avvengono fatti inquietanti, riconducibili alle costumanze dell’antica Cornovaglia (da cui provenivano i fondatori) ancora adottate in paese e incomprensibili per uno “straniero”.
Quello che appare evidente è la chiusura della comunità rurale, incapace di accettare chi non vuole assoggettarsi al suo modo di vivere, anche tra i suoi compaesani. Chiunque si ribelli alle costumanze è considerato pericoloso e le reazioni della comunità sono inaspettate. In realtà è una favola nera, nerissima.
Il racconto inizia in modo lento, come lento può essere l’adattamento di un cittadino alla nuova realtà contadina. Superata la prima parte, il romanzo assume un ritmo incalzante e, con Ned, al lettore vengono rivelate le agghiaccianti verità del villaggio, cruente, in un crescendo di inquietudine bucolica e di pathos. Alcune immagini sono così vivide che sembra di vedere un film, ed una riduzione cinematografica ne è stata tratta, a puntate, se non ricordo male. Nella mia mente, fin da bambina (sì, sempre della serie di film light che mi faceva vedere mia madre), ci sono sempre state un paio di scene horror che non riuscivo a ricondurre a nessun film noto: un rituale pagano legato al culto della Madre Terra, e leggendo l’ultima parte del romanzo – Il Raccolto in casa – ho capito di che cosa si trattava: esattamente della trasposizione del romanzo di Tryon.
La scrittura è molto raffinata e ricercata, ma mai pomposa, a qualcuno può sembrare un po’ datata forse, però molto evocativa che dà al racconto un qualcosa di sospeso, a volte. I personaggi sono molto ben definiti, come definita è la natura nella quale ci si immerge durante la lettura; sembra di attraversare il ponte e scivolare tra le strade e i campi di grano di Cornwall Coombe.
Leggendo la biografia di Thomas Tryon si capisce la sua abilità di rendere reali le scene descritte. È stato infatti un celebre attore di teatro, cinema e televisione tra gli anni ‘50 e ‘60, dopo tre anni di studio alla Neighborood Playhouse. Il suo romanzo di esordio fu “L’altro”, da cui è stato tratto l’omonimo film, sto cercando di recuperarli entrambi.
Sembrerebbe che la sua anima di scrittore – e che scrittore, se mi permettete – fosse emersa dopo la visione di Rosemary’s baby di Roman Polanski.
Come dicevo all’inizio, è un autore molto interessante per chi ama il genere, mi auguro che a qualche casa editrice salti il ghiribizzo di rispolverare le sue opere e, magari, pubblicare quegli inediti che non sono mai arrivati da noi. Se volete conoscerlo cercate tra l’usato, ci sono ancora copie a prezzi interessanti!
“A noi tutti vengono offerte delle scelte; le nostre stesse esistenze dipendono spesso da tali scelte. Fare quelle sbagliate può cambiare la nostra vita, ma, per lo meno, la decisione è stata presa; il freno è stato allentato, la macchina può ripartire. Eppure, procedendo, conduce l’uomo incontrò al dato che egli stesso ha voluto.”
Recensione di Chiara Carnio
Presente nella Rassegna dei libri di Aprile 2021
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