LA FIGLIA PERFETTA, di Anne Tylor
“…non ha questo problema perché stiamo mantenendo il taglio di quando è arrivata. Noi non vorremmo americanizzarla”.
“Americanizzarla?”. Disse Ziba. “Noi non stiamo americanizzando Susan!”.
(Come se fosse facile in realtà americanizzare una persona, penso Maryam, che aveva visto fin troppi stranieri tentare di assumere un atteggiamento naturale in blue jeans).
Siamo a Baltimora, il 15 agosto del 1997, e Brad e Bitsy Donaldson, una coppia americana, e Sami e Ziba Yazdan, marito e moglie iraniano-americani, sono all’aeroporto in attesa ognuno della propria bambina coreana adottiva, successo del centro adozioni coreano americano Il cuore in mano. In quella giornata i Donaldson abbracciano Jin-ho e i Yazdan abbracciano Suki (che poi chiameranno Susan).
Questa adozione è occasione di incontro per le famiglie che da quel 15 agosto, contro ogni aspettativa, si cominciano a frequentare assiduamente per far sentire “a casa” le bimbe.
E così la penna della Tyler ci porta dentro le dinamiche di queste famiglie, seguiamo la crescita delle bimbe, l’evolversi di una amicizia, l’evolversi delle famiglie stesse, conosciamo il quotidiano, gli screzi, i drammi, le storie personali, i sentimenti.
Nelle loro case diventiamo parte della famiglia.
La loro casa è anche l’America?
Ed ecco la sapienza della Tyler nel sottolineare con maestria i difetti urticanti dell’America. L’America arrogante certa di essere interessante, aperta, tollerante, di agevolare l’integrazione.
Il romanzo mette a fuoco tutta la difficoltà di quelle culture distanti che si trovano comunque a convivere sotto la bandiera a stelle e strisce, e nel farlo svela le crepe dello spirito di accoglienza della società americana.
Il “nostro” e “vostro” sembra un dictat arcaico.
L’amaro in bocca arriva quando il lettore comprende che l’appartenenza al paese che li ha accolto gli Yazdan spesso è una loro proiezione, più che un’autentica conquista. Un gioco delle parti talvolta amaro, appunto, spesso anche comico che si svolge tra feste improbabili come quella “del ciuccio” o “della raccolta delle foglie”.
Una “festa dell’arrivo” dopo l’altra ci si affeziona alle crepe dei personaggi, bimbe comprese.
Storia molto lineare eppure tra le righe ci sono spunti di riflessione degni di essere colti.
È il mio primo incontro con la Tyler, e non sarà l’ultimo.
Recensione di Maria Elena Bianco
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