LA FIGLIA UNICA Abraham B. Yehoshua

LA FIGLIA UNICA, di Abraham B. Yehoshua (Einaudi – novembre 2021)

 

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La letteratura offre spunti e stimoli per la formazione dei giovani e la costruzione identitaria. La religione si propone di fare lo stesso attraverso i suoi testi sacri. L’esperienza e la vita costituiscono quella variabile x che determineranno le direzioni e le scelte future del fresco individuo di fronte a sé stesso e alle sue molteplici eredità.

Il futuro del conflitto fra Israele e Palestina si risolverà con lo stato binazionale. Lo pensa Abraham B. Yehoshua, ma subito aggiunge: «Ci vorranno 100 anni». Finisce il ragionamento sottolineando che, anche i palestinesi vogliono l’uguaglianza e ormai non vogliono più uno stato. Il futuro vedrà questo nuovo assetto. Non lo vedrà invece lui, vista la sua età avanzata e la malattia che lo sta consumando. E così “La figlia unica” potrebbe davvero essere l’ultimo libro del grande scrittore, drammaturgo e docente universitario israeliano.

Ambientata in Italia, questa novella vuole esprimere il riconoscimento e l’amore che Yehoshua nutre per il nostro paese e non solo. Sin dalle prime pagine attraverso il libro “Cuore”, il lettore si accorge del profondo legame fra la letteratura italiana e la sua carriera letteraria. Lo dice palesemente a Milano Book City: come l’insegnante, e di conseguenza la protagonista, la dodicenne Rachele, Yehoshua ha letto il libro negli anni della sua formazione giovanile ritenendolo, successivamente, fondamentale per la sua costruzione identitaria. «“Cuore” mi ha fatto diventare scrittore. Piangevo nell’ascoltare la storia dei protagonisti. Mio padre mi chiedeva perché e io inventavo scuse, mi vergognavo».

 

 

È interessante notare alcune analogie fra quest’opera e quella di Edmondo De Amicis. In primis, il linguaggio, sempre puntuale, preciso, elegante, corrispondente al modo di esprimersi di un ceto sociale colto e agiato. La famiglia di Rachele è come quella di Enrico, borghese, ricca, istruita e benpensante. Inoltre, si può leggere anche qui un intento pedagogico come vi era in De Amicis: quando Rachele viene più o meno costretta dalla famiglia a recarsi dalla sua vecchia insegnante, nel commentare un paio di storie del famoso romanzo, Rachele non esita a esprimere il suo giudizio ben formulato e articolato, che strapperà un «lieve sorriso» a Emilia Gironi, l’insegnante prossima alla pensione,  e un complimento: «bene, sai pensare» Parole che faranno arrossire la giovane Rachele, che le risponderà: «Ci provo, ma non è sempre facile.» (p 108)

Come lei, altri ‘pedagoghi’ daranno a Rachele indicazioni utili per la sua crescita; a turno il padre, i nonni, l’autista, i compagni di scuola. Ma la ragazza in ogni situazione dimostra di saper pensare con la sua testa e nella sua sete di capire, conoscere, crescere, verrà, via via, sempre più a contatto con le parole adatte per aprire nuovi mondi, scoprire nuovi pensieri.

La trama è triste e singolare: ci parla di un padre malato, ebreo, che impedisce a sua figlia di prendere parte alla recita di Natale della scuola, nel ruolo di Maria. Questo rifiuto addolora Rachele, ma ben presto questo dolore è sostituito da uno più grande: lei figlia unica è a rischio di perdere il suo unico padre. È una storia d’amore speciale che unisce padre e figlia; vi è un episodio in particolare che ne mostra tutta la poesia: il loro viaggio in moto per le strade sinuose innevate alto atesine, alla ricerca del paesino perduto nelle vallate dolomitiche dove lui è nato durante la guerra. Una metafora che mette insieme tutte le avversità che impediscono al padre e alla figlia di disporre insieme i pezzi del puzzle della loro identità.

 

 

In un paese profondamente cattolico, Rachele si trova a dover capire cosa significa essere ebrea. Il problema dell’identità ebraica viene esaminato attraverso la geografia italiana, mare e monti, le sue tradizioni religiose come il Natale e il Carnevale (che precede la Quaresima), le sue infinite chiese, luoghi di culto sacro dove il padre preferisce non andare e così vorrebbe fosse anche per sua figlia. Inoltre Rachele è figlia di un matrimonio misto: sua madre si è convertita al Giudaismo, ma viene da una famiglia cattolica. La nonna è però atea.

Insomma c’è un po’ di tutto nel vissuto della giovane ebrea alle prese con la sua identità. Ma il nocciolo rimane nel cuore della protagonista, che si ritroverà presto da sola, e senza il padre dovrà capire cosa significa essere figlia di un uomo nato per grazia ricevuta, di nascosto, in periodo di persecuzione. Gli ebrei italiani sopravvissuti alla Shoah e i loro discendenti devono digerire l’alto tradimento subito: amici e vicini che li hanno denunciati e consegnati al nemico, spesso solo per denaro.

 

 

Il padre rimane la fonte primaria d’identità. Il luogo dove tornare. Il centro della ricerca. “La figlia unica” si snoda così come un unico cerchio che non si apre ad altre figure geometriche per mancanza di altri figli. Rachele, non è solo orfana di padre ma anche di fratelli. Come Gesù. Così come lo ha dipinto la figlia della Prof. «Ma in questo ritratto Gesù sapeva già di essere Dio o il figlio di Dio?» (p 114) E Rachele mentre ascolta la risposta dell’insegnante, si ricorda che è ebrea e che non crede in Gesù, ma poco dopo si chiede: «Chissà se Gesù era andato a scuola come tutti o se, visto che era il figlio di Dio ne era stato esentato. Quale maestro avrebbe potuto infatti insegnarli qualcosa?» (p 116)

Gli insegnamenti del padre, certo, sono quelli da privilegiare. Nella vita. Nella costruzione di sé. Ebrei o non ebrei. Perché in fondo siamo tutti figli di Dio. Credenti e non credenti. Perché di fatto abbiamo tutti un padre. Però, dopo, altri dovranno sostituire il padre. Il cammino della vita continua con i propri fratelli. Ma se sei figlia unica?

Ci vorrà del tempo, come per Israele e Palestina, i due figli unici che dovranno imparare a essere fratelli. Rachele ha già capito da sola cosa dovrà cercare, un fratello, e lo dice al padre: è qualcuno che starà con lei «quando tu non ci sarai più». (p 157) Dove il pronome ‘tu’ si dissolve, con la fine del racconto, in un futuro che saprà nascere dalla morte come una nuova fenice. Felice e con radici forti e sicure.

Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto  

LA FIGLIA UNICA Abraham B. Yehoshua

 

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