LA FOLLIA DI DUNBAR, di Edward St Aubyn
Un ricco e potente magnate canadese decide di lasciare la propria azienda per godersi la vita, ma dovrà fare i conti con le due sadiche e cattive figlie, che lo fanno rinchiudere in una casa di cura, dopo aver ottenuto la dichiarazione di incapacità di intendere e volere del padre da un medico compiacente, che con le due donne intrattiene una relazione sessuale.
Ma un giorno Dunbar riesce a fuggire dalla casa di riposo insieme ad un comico alcolizzato e ad un’altra paziente e ciò scatena la caccia all’uomo da parte delle figlie, che però non hanno fatto i conti con la sorellastra estromessa da Dunbar dal patrimonio ma sinceramente legata al padre.
Ho fatto fatica a seguire le vicende finanziarie riguardanti il trust di Dunbar. Inoltre mi aspettavo che parlasse davvero della follia di Dunbar, celebrato dalla critica come il re Lear contemporaneo, in una tragedia shakespeariana rinnovata, ma per me non ha nulla a che fare con il fascino e lo splendore delle opere del celebre drammaturgo, né tantomeno con la profondità e complessità dei suoi personaggi.
In questo libro nessuno si salva: sono tutti arrivisti, dal medico alle guardie del corpo, e le due figlie risultano odiose all’inverosimile, preda dei peggiori vizi e senza un briciolo di umanità, irritanti in particolare nelle scene di sesso sadomaso o di crudeltà nei confronti del comico per estorcergli informazioni.
Tutti sono opportunisti e tesi al guadagno, tranne la figlia diseredata, e la storia, a mio modo di vedere, ha una conclusione prevedibilissima. Francamente l’ho trovato irrealistico, noioso, irritante, in definitiva deludente.
Recensione di Patrizia Bellanova
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