LA MADRE, di Grazia Deledda
Un romanzo di altri tempi, una storia che oggi sembra datata, rinchiusa in una Sardegna antica e aspra, eppure non si può non rimanere incantati dalla scrittura coinvolgente della scrittrice, Grazia Maria Cosima Damiana Deledda, nota semplicemente come Grazia Deledda (Nuoro, 28 settembre 1871 – Roma, 15 agosto 1936).
Autodidatta, coniuge di Palmiro Madesani, con il quale si trasferisce a Roma; qui lui lascia l’impiego statale per seguire la carriera della moglie, in quanto suo agente letterario. Nel 1926, riceve il premio Nobel per la letteratura, seconda a Carducci e prima di Pirandello, che l’anno precedente, per mancanza di requisiti non fu conferito a nessun candidato.
Così scrive la Giuria nella motivazione: «per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano». “Elias Portolu” (1900), “Cenere” (1904), “L’edera” (1908), “Sino al confine” (1910), “Colombi e sparvieri” (1912), “Canne al vento” (1913), “L’incendio nell’oliveto” (1918), “Il Dio dei venti” (1922) sono i suoi libri più famosi. Fu apprezzata in Italia e all’estero, da Giovanni Verga e, in particolare, da D. H. Lawrence, che scrisse la prefazione della traduzione in inglese de “La madre”.
Inizialmente pubblicato a puntate, soltanto nel 1920 la casa editrice Trevers lo pubblicò per intero. Fino ad oggi, innumerevoli edizioni e traduzioni continuano a renderlo intramontabile. Nel 2014 è stato tratto anche un film diretto e interpretato da Angelo Maresco. La protagonista è la grandissima attrice Almodovariana Carmen Maura. In questo lungo racconto “La madre”, seguiamo il tormentato rapporto fra madre e figlio, in una Sardegna rude e popolata da ruvidi contadini.
Il tema è quello dell’incomunicabilità fra madre e figlio. Parroco del paesino di Aar, Paulo è innamorato di Agnese. Agnese è una bella vedova che vive in una grande tenuta, dove il prete, viene furtivamente di notte. Maria Maddalena scopre l’intrigo amoroso e succube del suo ruolo di madre, la donna prende coraggio e ricorda a Paulo i suoi doveri.
Maria Maddalena è una madre divisa, perché il suo unico desiderio è vedere il figlio felice e non è sempre convinta che rinunciare all’amore sia la scelta giusta, come si evince dal dialogo con il fantasma del prete vecchio. Maria Maddalena però, non è la sola a soffrire. Anche il prete è diviso: si sente in colpa per vivere in una condizione che il suo ruolo non gli consente. Forse, se madre e figlio si fossero parlati apertamente avrebbero scoperto di avere le stesse paure e gli stessi incubi. Il sacrificio materno riscatterà il figlio, ma a quale prezzo?
Ben costruita, la narrazione si snoda in un crescendo emotivo che non si scioglierà nemmeno nelle ultime pagine. Nel grido del figlio: «Madre, madre?» ritroviamo tutta l’angoscia del personaggio, che si chiede a cosa e per cosa valga la pena lottare. Negli occhi di Agnese la risposta?
O nel sacrificio materno?
Un romanzo dalla scrittura fluida ed elegante, impregnato di sentimenti intensi, con descrizioni paesaggistiche, potenti ed evocative, dove il vento è protagonista, in cucina Maria Maddalena sente «il rombare del vento» (p.60) e il figlio è costretto a tenersi il cappello e la veste per «l’impeto del vento», come una «vertigine», proprio come la madre quando si accorse di essere incinta, «le pareva ci fosse il terremoto» (p.54). Un terremoto di emozioni un figlio. Una vita. Un sacrificio. Forse inutile. Ma questa è la vita, sottolinea Grazia Deledda che ci costringe a guardarci dentro e a fare i conti con quello che siamo, divisi fra il senso del dovere, dell’amore filiale e le nostre intime aspirazioni.
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