LA MALORA, di Beppe Fenoglio (Einaudi)
Fenoglio lo conoscevo esclusivamente come il cantore della Resistenza, poi mi è stato regalato questo libro.
È un libro profondamente verghiano, dove la vita è amara e la lotta per la sopravvivenza si conclude sempre con una misera sconfitta. Il libro, scritto prevalentemente in piemontese, narra le tristi vicende di una famiglia contadina delle langhe e vede come protagonista, e voce narrante, il figlio di mezzo.
La scala gerarchica è composta da sfruttati e sfruttatori a loro volta sottomessi dai padroni. I mezzadri provano a migliorare la propria condizione facendo vivere nel sacrificio famiglia e servitori, ma tutto va in malora (ed ecco spiegato il titolo).
Il protagonista ad un certo punto del racconto compie un’analisi marxiana su lavoro e proprietà, una critica lucida dettata dalla fame e dallo sconforto.
In diversi passaggi viene descritto anche il seminario, dove i preti si comportano come i padroni, con l’aggravante che i bottoni neri si fan pagare.
Poi le brutture dell’epoca: la violenza casalinga, le donne relegate a oggetto di scambio e servitrici del padrone (anche quando il padrone è il marito).
Fenoglio è un ottimo narratore e fa vivere al lettore la miseria di quella gente fin quasi a sentire il puzzo di sudore e sterco: la puzza di zolfo dopo una giornata a vangare la terra.
Il libro non è solo un lungo racconto degli ultimi, ma è anche uno scorcio sulla vita di quei tempi, fatta di piccole dipendenze quotidiane: il vino, le carte e il fernet.
È un libro angosciante, che mette addosso un profondo senso di nausea e schifo. È senza dubbio un romanzo storico che ci ricorda quanto siamo fortunati noi che siamo venuti dopo, ma era fortunato anche il suo autore quando lo scrisse all’inizio della ricostruzione dell’Italia
Recensione di Emanuele Marino
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