LA MEMORIA RENDE LIBERI Liliana Segre Enrico Mentana

La memoria rende liberi Segre Mentana Recensioni Libri e News

LA MEMORIA RENDE LIBERI, di Liliana Segre, Enrico Mentana.

Recensione 1

 

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Ho affrontato questa lettura con il volto e la voce pacata della signora Segre stampato nella menoria, come se fosse un’ intervista e io avessi l’opportunità di stringerle le mani nel salotto di casa mia.

È una vita oramai che leggo storie della Shoa dei sopravvissuti. In realtà poche scritte da donne e proprio questo fa la differenza. La maggior parte delle donne fu sezionata subito e, se avevano bambini, insieme ai loro figli. Inette al lavoro, per lo più, soprattutto per il lavoro faticoso dei campi.

Guardare crescere l’odio che generò e tracimò nei campi di concentramento e annientamento attraverso gli occhi di una adolescente ingenua che di colpo perde la sua fanciullezza è tutt’altra cosa che guardarlo attraverso gli occhi di uomini già abituati al lavoro che comunque rischiarono la vita ogni giorno.

 

 

Mi sono sempre chiesta come facessero tutte queste donne che venivano private subito di ogni cosa, compresa biancheria intima e la semplice igiene personale, con le mestruazioni. Sì che la denutrizione e essere sotto peso sono condizioni che fanno sì che il cicli di blocchi , eppure queste condizioni richiedono un certo tempo per verificarsi.

Ecco allora che finalmente in questo libro sento parlare per la prima volta di possibile uso di bismuto nella zuppa. Nella loro vertiginosa pazzia avevano pensato anche a questo i nazisti. Per non parlare del fatto che la donna è sempre stata, e in parte lo è ancora, oggetto del desiderio malato degli uomini, e quindi mi son sempre chiesta se tutte queste donne prigioniere, nude e inermi, avessero dovuto subire continue violenze fisiche da parte dei tedeschi, ma soprattutto da parte dei kapo che spesso erano loro connazionali.

Per loro fortuna invece, in un certo senso, le donne prigioniere non erano considerate donne, ma avevamo il valore di un pidocchio, e quindi poterono risparmiarsi le morti atroci per stupri collettivi che invece non si risparmiarono le donne armene durante il loro sterminio.

 

 

Purtroppo a Liliana non fu risparmiata la violenza di essere visitata a guerra finita per poter dimostrare di essere ancora vergine. Mi vien sa dire che se dopo tanto orrore la tua sopravvivenza passa in secondo piano rispetto a questo punto, forse non si è capiti nulla o imparato abbastanza dalla storia.

Di sicuro dopo questa lettura sarà da rileggere sia “La tregua” che “Se questo è un uomo” di Primo Levi, visto che da essi Liliana ha imparato il significato dei vocaboli ” Stupore” e ” Tregua”, applicandoli nella sua esperienza. Due sopravvissuti che hanno reagito in modo diverso tornati alla vita ” normale” ma le cui esperienze hanno voluto affidare alle parole scritte dei libri perché restino a monito di futura memoria per noi. Perché le parole sono pietre e Liliana lo ha imparato a sue spese.

Recensione di Evelina Loffredi

Recensione 2

Ogni anno, il 27 Gennaio, si celebra il giorno della memoria, la liberazione da parte dell’armata Rossa del campo di concentramento di Auschwitz. Ogni anno, ci laviamo le coscienze con manifestazioni, con interviste ai pochi sopravvissuti, con film sull’orrore che è stato, e che non dovrà più essere.

Paradossalmente però, l’orrore assoluto, iniziò ben prima della soluzione finale.
Inizia in un Europa soggiogata al Nazismo di Hitler, inizia nell’Italia fascista di Mussolini nel 1938, con le promulgazioni delle leggi razziali.

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Improvvisamente si decide che il vicino di casa, il collega, la compagna di banco, non è più una persona, non è degno o degna di andare a scuola, d’insegnare, di lavorare, di fare impresa.

Era una stirpe, una razza, che doveva essere annientata, cosi milioni di traditori iscritti al regime fascista, contribuirono all’isolamento, alla segregazione e rastrellamento di Ebrei, ma anche di zingari, omosessuali, handicappati, intellettuali e oppositori politici. Furono moltissimi gli Italiani che chiusero gli occhi, che non vollero guardare e aiutarono a compiere attivamente l’orrore, in cambio di soldi o semplici favori.

In questo clima di sospetto , odio, paura, inizia il racconto di Liliana Segre, una bambina di appena otto anni, dapprima espulsa da scuola perché ebrea diventa invisibile, agli occhi di tutti, delle amiche, della maestra, poi costretta a nascondersi e fuggire, fino al drammatico arresto che porterà lei e la sua famiglia a varcare i cancelli di Auschwitz.

Una storia reale, dura, commovente.
Le parole chiave di questo libro? Sono molte, ognuna racchiude una scena, una frase, un ricordo.
Delatori, Incredulità, Sospetto, Abbrutimento, Abulia, Libertà, Scelta.

 

Infine Indifferenza: la parola più importante, quella più pesante da sostenere.
Tutto incomincia e finisce da questa semplice parola.

Chi ha fatto del male, ha fatto una scelta, discutibile, inconcepibile, ma chi ha visto passare davanti ai propri occhi tutto quell’orrore e ha preferito volgere il suo sguardo altrove, per indolenza, per pigrizia, inerzia, allora si, allora è stato complice diretto della tragedia umana.

Recensione di Cristina Marescotti

Recensione 3

È il racconto forte, crudo e commovente è “la vita interrotta di una bambina nella Shoah”, è la storia di una vita spezzata dalla follia e dalla crudeltà delle leggi razziali in Italia nel 1937; quelle leggi vergognose hanno cancellato la sua famiglia, il padre, i nonni paterni, gli zii…ed hanno privato una ragazzina, dall’oggi ad domani, del diritto di crescere, di essere felice, di andare a scuola, di rimanere nella sua casa per finire, tredicenne nell’inferno di Aushwitz assieme a centinaia di migliaia di italiani che avevano una sola colpa, appartenere a una minoranza: essere ebrei o omosessuali o zingari.

 

 

Ma la cosa più sconvolgente è che tutto questo accadde progressivamente nel più assordante silenzio, nell’indifferenza di molti (non di tutti) che hanno preferito non vedere quello che stava succedendo, che si sono lasciati trascinare dalla propaganda fascista, che ne hanno condiviso il pensiero o che hanno sostenuto la politica di negazione dei diritti a danno di altri uomini e donne senza alcuna ragione, che hanno preferito voltare la testa dall’altra parte per non vedere, o da chi, peggio ancora, ne ha approfittato per arricchirsi (5000 lire per ogni ebreo denunciato), poi, passo dopo passo, il cerchio si è chiuso con la deportazione.

Quindi Liliana Segre, nel raccontare la sua tragedia personale di sopravvissuta, la sua fatica di ritrovarsi e riprendere la sua esistenza irrimediabilmente segnata dalla tragedia, invita i giovani, a prendere coscienza di quella pagina oscura della nostra storia, perché solo attraverso la memoria, si può essere vaccinati contro ogni intolleranza e razzismo.

Recensione di Patrizia Franchina

Recensione 4

Ne “La memoria rende liberi” (Rizzoli 2015) Enrico Mentana raccoglie la testimonianza di Liliana Segre, Senatrice a vita della Repubblica Italiana, una delle poche bambine italiane di origine ebrea sopravvissute ad Auschwitz.

La Segre, in prima persona, ci racconta la sua vita da quando, a soli otto anni, le leggi razziali sconvolsero la sua esistenza e quella di tante famiglie ebree in Italia.

 

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Improvvisamente Liliana viene espulsa da scuola, le amiche non la degnano più di nessuna attenzione e lei si chiede se abbia fatto qualcosa di male.

Il padre Alberto, un uomo sensibile e che la ama teneramente, rimasto solo ad accudirla dopo la morte della mamma per un tumore devastante quando la bambina ha solo poco più di un anno, cerca di nasconderla in casa di conoscenti. Riescono ad avere dei documenti falsi e insieme a due anziani cugini tentano di passare il confine svizzero. Ma vengono respinti e tutto ciò spianerà loro la strada verso Auschwitz-Birkenau dove saranno deportati. Rimasta orfana (il padre sarà ucciso subito dopo il suo arrivo nel campo) Liliana vive gli orrori di quel luogo privo di ogni umanità, un luogo che le resterà dentro per tutta la vita.

Liberata nel 1945 in un sottocampo di Ravensbruck Liliana, tornata in Italia, dovrà avviare la ricostruzione della sua persona nella totalità di un corpo deprivato e di un’ anima annientata. Le sarà di salvezza l’incontro con Alfredo Belli Paci, quello che diverrà suo marito e che le darà insperatamente tre figli.

 

Ma dal campo non si potrà mai uscire. Una terribile depressione la colpirà facendole comprendere, anche se trent’anni dopo, che la sua missione è quella di raccontare per rendere evidenti le ragioni del male e soprattutto combattere l’indifferenza perché “quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore”.

Un libro bellissimo, scritto con grande intelligenza, senza retoriche o autocompiacimenti, pieno di grande umanità nonostante il male ricevuto.

Commovente ed emblematico il carteggio con Primo Levi e la loro visione diversa della sofferenza che in lui si trasformerà in suicidio e in lei in una parola sola da diffondere ovunque: speranza, una speranza capace di sconfiggere il distacco e il disinteresse, in grado, attraverso il ricordo e la presa di coscienza di non nutrire la banalità del male, ma consapevolmente capire che la memoria stessa può rendere liberi.

Recensione di Maristella Copula

 

 

Recensione 5

Anni fa mi sono ripromessa che in occasione della Giornata della Memoria avrei letto un libro sull’argomento, e quest’anno ho scelto il libro di Liliana Segre ed Enrico Mentana “La Memoria rende liberi”.

Non è mai facile leggere libri che raccontano quegli anni. Ma è ancora più difficile farlo quando si ha la consapevolezza che l’ autrice ha provato sulla sua pelle quello che per noi è solo un tragico racconto, lontano nel tempo e talmente doloroso da sembrare incredibile.

Liliana Segre, come tutti sanno, è stata deportata in un campo di concentramento quando era solo una ragazzina, ed è sopravvissuta. Anche in questo libro troviamo gli stessi orrori che tutti i sopravvissuti hanno raccontato, da Primo Levi in poi. Eppure ogni volta è come la prima volta, la stessa sensazione di soffocamento, la stessa incredulità. Ogni volta vorrei chiudere il libro e dedicarmi ad altro, perché quel racconto è troppo doloroso per continuare. Ma credo che leggere le testimonianze di chi è sopravvissuto ai campi di concentramento sia un dovere morale.

 

Liliana Segre racconta, e in alcuni passaggi sembra di sentire parlare quella ragazzina che all’arrivo al campo ha salutato con un gesto della mano il suo papà, per non rivederlo mai più. Un ragazzina che, come dice lei stessa, non è un’ eroina, non è stata particolarmente forte o coraggiosa da meritare la salvezza. E’ una donna che ha passato l’inferno ed è viva per caso, mentre altri milioni di persone non hanno avuto la stessa sorte.

Racconta anche come è stata la sua vita dopo il suo ritorno, per esempio parla del suo rapporto con il cibo, che non è mai più stato lo stesso, o della rabbia che nei primi tempi riversava sulle persone intorno a lei, della sua sensazione di essere sola, perché nessuno poteva capire quello che aveva vissuto. Parla anche della sua incapacità di raccontare la sua storia, che per molti anni le ha impedito di elaborare quegli eventi e provare a darsi pace, e della sua decisione, ad un certo punto, di andare a raccontare nelle scuole, perché si è resa conto che solo i sopravvissuti ai campi di sterminio avevano il potere di mantenere la memoria, e trasmetterla alle nuove generazioni.

 

 

Credo che ognuno di noi lettori di lunga data abbia letto altre storie come queste, e ogni volta si sia chiesto come abbiano potuto degli esseri umani fare delle cose così orribili ad altri esseri umani. E sono sicura che nessuno di noi sia mai riuscito a darsi una risposta che non prevedesse una totale e assoluta sconfitta dell’ umanità. Ma Liliana Segre individua tra le cause del male assoluto che ha vissuto l’indifferenza delle popolazioni coinvolte. Dice la Segre: “Se Hitler e Mussolini sono riusciti a tenere in pugno i rispettivi paesi è perchè hanno potuto contare sul sostegno e sulla complicità di una vastissima percentuale di tedeschi e italiani.” L’indifferenza, il non voler vedere, il pensare che la cosa non riguardi noi, è un male che ha colpito anche il mondo in cui viviamo.

Ognuno di noi dovrebbe leggere una di queste storie almeno una volta nella vita. La loro voce è quella che resterà per sempre, anche quando i sopravvissuti non ci saranno più. La conoscenza è l’unica arma che abbiamo per evitare che quanto è accaduto allora possa ripetersi. Solo ricordando queste persone, le atrocità che sono state loro inflitte, possiamo dare loro un barlume di giustizia, e provare a fare in modo che non accada più.

Recensione di Nella Patanè

 

Recensione 5

Era tanto che volevo leggere questo libro ma non trovavo mai il momento giusto perché, a mio parere, per libri di questo genere devi avere uno stato d’animo pronto. Finalmente ce l’ho fatta e mi è piaciuto. Ovviamente non è paragonabile a “Se questo è un uomo” di Primo Levi: totalmente diverso il tipo di scrittura ma anche la trama perché qui si parla di una ragazzina di 13 anni che si trova deportata in un campo di concentramento mentre nel libro di Primo Levi il protagonista aveva 25 anni circa. Tornando al libro della Segre, molto interessante e inquietante è la parte iniziale, prima della deportazione, quando parla di come le leggi razziali sconvolgano la vita sua e della sua famiglia e di come suo padre non riesce a percepire il pericolo incombente o comunque di come non approfitta di alcune possibilità di fuga dall’Italia e quindi di salvezza.

Ovviamente lei non colpevolizza suo padre, che adorava, e difatti straziante è il momento in cui padre e figlia vengono separati al campo di concentramento e lei lo saluta credendo di rivederlo la sera mentre non lo vedrà mai più. Ecco, dal momento in cui entra nel campo di concentramento inizia per me la parte più difficile a livello emotivo perché è angosciante pensare a una ragazzina completamente sola in un posto di morte e di sofferenza che alla fine, per una serie di circostanze fortuite, riesce a cavarsela, a sopravvivere, anche se ridotta a larva umana, e a tornare a casa. Lei non si considera un’eroina perché non ha fatto alcun atto eroico (altrimenti probabilmente non sarebbe sopravvissuta), anzi in molte occasioni ha preferito non vedere quello che succedeva intorno a lei perché se avesse visto tutto l’orrore di quel campo ne sarebbe stata sopraffatta.

Molto bella e interessante è anche la parte del “dopo”: le difficoltà a riprendere una vita normale, l’incontro con il suo futuro marito e la decisione (presa in tarda età) di parlare di quello che le era successo e di portare la sua testimonianza ovunque ci fosse qualcuno disposto ad ascoltarla. E’ un libro che consiglio a tutti. Non so se esistono libri “indispensabili” ma secondo me esistono libri “necessari” e questo è uno di quelli.

Concludo con questa citazione dal libro secondo me fondamentale per comprendere cosa è successo ed evitare che si ripeta: “da anni ogni volta che mi sento chiedere <<Come è potuto accadere tutto questo?>>, rispondo con una sola parola, sempre la stessa. Indifferenza. (…). La chiave per comprendere le ragioni del male è racchiusa in quelle cinque sillabe, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore. E’ come assistere a un naufragio da una distanza di sicurezza. Non importa quanto grande sia la nave o quante persone abbia a bordo: il mare la inghiotte e, un attimo dopo, tutto torna uguale a prima. Non un’onda in superficie, non un’increspatura. Solo un’immobile distesa d’acqua salata”.

Recensione di Martina Martelli 

 

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